"Il problema del ponte Morandi è che
i tiranti sono stati costruiti in calcestruzzo e non in metallo,
e che negli anni Sessanta non si metteva in conto che il
calcestruzzo si degrada e poi collassa. Cinquant'anni fa c'era
una fiducia illimitata nel cemento armato. Si credeva fosse
eterno. Invece si è capito che dura solo qualche decennio". A
spiegarlo è l'architetto genovese Diego Zoppi, ex presidente
dell'Ordine genovese, oggi membro del Consiglio nazionale degli
architetti.
"L'ingegner Riccardo Morandi era un grandissimo strutturista,
ma col ponte sul Polcevera ha voluto forzare la mano
staticamente - spiega Zoppi -. Un ponte strallato è sostenuto da
tiranti di metallo. Morandi, con la sua grande competenza in
fatto di statica, volle farli in calcestruzzo. E' una soluzione
ardita, perché il cemento lavora in compressione, mentre in
trazione si usa il metallo. Il suo ponte era finito sulle
riviste specializzate per questo".
"Quello di cui non si teneva in conto all'epoca - continua
Zoppi - è che, con le continue vibrazioni del traffico, il
cemento si microfessura, e lascia passare l'aria, che raggiunge
la struttura interna di metallo e la fa ossidare. Viene quindi
meno la funzione originaria del cemento, che dovrebbe proteggere
l'acciaio. Il ponte per questa ragione ha sempre richiesto
grossi lavori di manutenzione. Era molto costoso da gestire".
Per l'architetto "l'Italia costruita negli anni '50 e '60 ha
urgente bisogno di ristrutturazione. Il pericolo di crolli è
sottostimato. I manufatti costruiti in quell'epoca stanno
arrivando a un'età in cui diventano a rischio".
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