"Mi sentivo a disagio per essere
uno dei sopravvissuti, mi sentivo in difetto con i parenti delle
vittime. Poi grazie agli psicologi ho capito che non era colpa
mia essere sopravvissuto e lentamente sto superando questa
storia". Così Gianluca Ardini, che rimase gravemente ferito nel
crollo del ponte Morandi parla di quella vicenda alla vigilia
dell'inizio del processo. Lo fa alla tv Primocanale. Accanto a
lui la compagna Giulia Organo che in quei giorni era in attesa
della nascita di Pietro, l'arrivo del figlio, ha sempre detto
Ardini, gli ha dato la forza per resistere.
"Ho visto l'asfalto del ponte rompersi e siamo sprofondati.
Momenti di buio poi ho aperto gli occhi e ho visto che il mio
compagno di lavoro Luigi Matti Altadonna era morto e nonostante
il dolore per le ferite mi sono messo ad urlare" con il camion
incastrato tra le macerie a 20 metri dal suolo. Ardini è rimasto
per 4 ore tra le lamiere del furgone. "Continuavo a dire ai
soccorritori che non ce la facevo più, avevo il bacino rotto,
poi ho un vuoto". A distanza di quattro anni ripensa al crollo e
dice. "Quello che è accaduto è una vergogna. I vertici di Aspi
sapevano come era conciato quel ponte maledetto e non era
intervenuta per guadagnare di più, è vergognoso".
Sergio Gazzo, è uno dei vigili del fuoco che si prese cura di
Ardini. "Gianluca dice di avere un vuoto, ma è stato veramente
collaborativo. Era un intervento a 20 metri di altezza in una
situazione che poteva avere rischi anche per noi soccorritori".
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