Subito dopo il pestaggio, costato la vita all'ingegnere Sergio Faveto, i ragazzi si erano vantati in giro. "Siamo dei grandi, lo abbiamo pestato", dicevano agli amici prima che la vittima morisse per i traumi. E' quanto emerge dall'ordinanza del gip Silvia Carpanini con la quale il giudice ha disposto gli arresti domiciliari per Daniel Borsi, 19 anni da compiere tra qualche giorno. E' accusato di omicidio preterintenzionale aggravato dai futili motivi. Per le stesse accuse è stato denunciato un ragazzo di 17 anni. Quella sera, però, ad assistere ci sarebbero stati anche una ragazza e un altro giovane. Faveto, il 3 agosto, era seduto ai giardinetti.
Era un uomo fragile e solo e con una gran voglia di parlare con qualcuno. Un suo vicino di casa lo ha visto e lo ha preso a schiaffi accusandolo di essere un pedofilo. E' questa, secondo i carabinieri che hanno portato avanti le indagini, la "scintilla" che ha fatto scattare "una vera e propria spedizione punitiva", come scrive il gip. I ragazzi, dopo che Faveto ha chiamato il Nue per la prima aggressione rifugiandosi in un androne, lo hanno costretto a uscire e lo hanno buttato a terra. A quel punto il minorenne lo ha preso a calci sul petto. Poi, quando hanno sentito avvicinarsi le sirene, sono scappati.
Quando Faveto muore a settembre, i ragazzi hanno iniziato a preoccuparsi, e hanno cancellato tutte le chat. E quando i carabinieri sono riusciti a rompere il muro di omertà, Borsi ha cercato addirittura di trovare una sorta di giustificazione e ha provato a convincere alcuni amici, chiamati in caserma come persone informate dei fatti, a dire che quella sera l'ingegnere aveva molestato una ragazzina. Alcuni ragazzi hanno parlato con i genitori dopo la convocazione degli investigatori. "Si sono vantati di aver picchiato un signore che poi è morto - ha raccontato un ragazzo a suo padre -, raccontavano le cose perché finché non era morto erano tutti presi bene. 'Stiamo dei grandi, l'abbiamo picchiato', dicevano".
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