Allora l'esame veniva definito test per rilevare l'impronta genetica ('dna finger printing'), ma il caso dell'omicidio di Lidia Macchi fu il primo in Italia in cui si ricorse al test del Dna. Un'autentica novità nelle indagini italiane, al punto che una trasmissione dell'epoca, 'Giallo' condotta dal giornalista Enzo Tortora, ne parlò a lungo commissionando un sondaggio alla Demoskopea, su un campione di 500 uomini in età compresa fra i 15 e i 60 anni, sulla disponibilità sottoporsi volontariamente ai test dna.
Nel caso Macchi, 29 anni fa il materiale organico trovato sul corpo di Lidia venne mandato nel laboratorio inglese di Abingdon. Lo stesso laboratorio analizzò anche il sangue delle persone coinvolte nell'indagine. Ma tutti gli esami diedero esito negativo, anche perché, almeno a quanto si apprese allora, il materiale organico prelevato sul corpo di Lidia non era sufficiente per risultati più sicuri. Un anno fa invece anche grazie all'esame del Dna è stato scagionato Giuseppe Piccolomo, già condannato all'ergastolo per il così detto delitto 'delle mani mozzate', sempre in provincia di Varese, nel novembre del 2009.
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