"In Barona non si muove niente
senza Nazzareno". Così una donna, che ha deciso di collaborare
con gli inquirenti milanesi, ha descritto a verbale il "potere"
che aveva Nazzareno Calajò, detto "Nazza" o "lo zio", 53 anni,
al vertice delle "piazze di spaccio" gestite dal gruppo della
Barona, storico quartiere popolare nella zona sud-ovest di
Milano, e finito in carcere oggi nella maxi inchiesta condotta
dai carabinieri e dalla polizia penitenziaria e coordinata dai
pm della Dda milanese Francesco De Tommasi e Gianluca Prisco.
Indagine che ha portato a galla anche un traffico di droga
all'interno del carcere milanese di Opera. Nelle oltre 700
pagine del decreto di fermo dei pm a carico di 8 persone, tra
cui Calajò e anche Massimiliano Mazzanti detto "Massimino
spara-spara" (che si aggiungono alle oltre mille pagine
dell'ordinanza a carico di altri 22 arrestati), vengono
ricostruiti, anche grazie alle parole della donna pure lei
indagata per aver fatto parte del gruppo criminale, tutti i
traffici di cocaina, hashish e marijuana gestiti da Calajò e dai
suoi sodali, tra cui anche il figlio Andrea e il nipote Luca,
che sarebbe stato a capo di un'altra "articolazione".
Come ha messo a verbale sempre la collaboratrice, ci sarebbe
stato un "palpabile timore reverenziale" nel quartiere nei
confronti di Nazzareno Calajò. Ogni volta che entrava in un bar
della zona, la presunta "base" operativa dello spaccio, "si
vedevano proprio le espressioni delle persone, gli avventori
piuttosto che i ragazzi, i lavoranti del bancone del bar,
cambiare immediatamente espressione - ha raccontato - timorosi
anche di dire 'buongiorno', era evidente il turbamento rispetto
alla caratura del personaggio che entrava".
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