Il 17 dicembre scorso evade Bartolomeo Gagliano, pluriomicida, detenuto al Marassi di Genova: non rientrò dal permesso premio e fuggì in Francia. Tre giorni dopo tocca a Pietro Esposito, pentito di camorra: anche lui in permesso premio, non rientra nel carcere di Pescara.
Il 3 febbraio un commando assalta il furgone che sta trasportando l'ergastolano Domenico Cutrì a un'udienza e lo libera. Il 12 febbraio evadono in due da Rebibbia, Giampiero Cattini e Sergio Di Palo, accusati di rapina e furto, calandosi da un muro di cinta con una fune di lenzuola. A questa lista si è aggiunto oggi Filippo De Cristofaro, colpevole di omicidio, portando a sei le evasioni che hanno fatto scalpore nel giro di quattro mesi. A parte lui, sono stati tutti catturati. Se poi si guarda al 2013 i dati del sindacato di polizia penitenziaria Sappe indicano 10 evasioni da parte di soggetti ammessi al lavoro all'esterno, 10 dagli istituti di pena, 47 da permessi premio e 21 dalla semilibertà. Tante o poche che siano, sono la spia di un problema. Alcune segnalano una falla nel sistema di sicurezza, come nel caso Cutrì; altre sono legate a un mancato rientro dal permesso e vedono un tasso di evasione in realtà molto basso, tra lo 0,2% e lo 0,5%. "Per Pasqua su circa 43mila detenuti con condanna definitiva, i soli a poterne beneficiare, solo l'1% è andato in permesso", spiega Leo Beneduci, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp. "Per contro, circa il 99,5% di quanti vanno in permesso rientrano regolarmente, numeri inducono a non lanciare allarmi e non mettere in discussione l'istituto in sé e per sé", aggiunge Eugenio Sarno, segretario generale della Uilpa Penitenziari.
Ma resta il fatto che l'evasione di ergastolani e condannati per omicidio desta allarme sociale. "Per le evasioni legate a problemi di sicurezza - afferma Sarno - non si può dimenticare che in poco più di 15 anni i detenuti sono aumentati del 50% mentre gli agenti penitenziari sono diminuiti del 18%: in queste condizioni il dato delle evasioni è destinato a lievitare". Per quanto riguarda i casi di chi non rientra dai permessi o dal lavoro esterno, la questione tocca però solo in parte la polizia penitenziaria. Qui, infatti, entra in gioco la valutazione del detenuto fatta da un'equipe composta dal direttore del carcere, il medico, l'assistente sociale, lo psicologo, l'educatore.
L'equipe stende una relazione e se dà il via libera al permesso, la decisione finale spetta al giudice di sorveglianza. "Il punto - osserva Beneduci - è che gli educatori sono pochi: uno ogni 100-150 detenuti. Per questo hanno pochi contatti con i detenuti. Il momento in cui se ne occupano è spesso proprio quello della richiesta dei permessi. Per contro, gli agenti, che sono invece a contatto stretto e quotidiano con i carcerati, hanno pochissima voce in capitolo e il loro parere non è tenuto nella dovuta considerazione quando si tratta di stilare una valutazione del detenuto".
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