(dell'inviato Paolo Cappelleri)
Lei rispolvera parole chiave del
sovranismo, la necessità di "difendere le famiglie, le nazioni,
l'identità, Dio e tutto ciò che ha costruito questa civiltà",
per contrastare l'inverno demografico. Lui condivide la
"condanna dell'aggressione russa" e l'auspicio di "una pace
giusta", con una svolta rispetto all'atteggiamento fin qui
tenuto sulla guerra in Ucraina. Il riavvicinamento fra Giorgia
Meloni e Viktor Orban si consuma in poche ore Budapest, fra
l'intervento al Demographic Summit e il colloquio nella sede del
governo, a quasi tre mesi dal vano tentativo della presidente
del Consiglio di mediare con il collega ungherese e quello
polacco Mateusz Morawiecki, che bloccavano le conclusioni sulla
migrazione del Consiglio europeo. A sentire autorevoli fonti di
FdI, questa evoluzione ha potenziali risvolti anche nel cammino
verso le elezioni europee. La posizione filo-Mosca di Orban
sull'Ucraina era l'unico ostacolo sostanziale all'ingresso dei
suoi europarlamentari nel gruppo dei Conservatori europei
guidato da Meloni. Magari, è il ragionamento che si fa nel
partito della premier, il leader ungherese manterrà un minimo di
ambiguità per ragioni interne, ma una svolta c'è. A leggere il
comunicato di Palazzo Chigi e del portavoce di Orban dopo
l'incontro di un'ora, quell'ostacolo è caduto. È successo dopo
l'apertura del Ppe a una nuova 'maggioranza Ursula'. Ma anche
alla vigilia del fine settimana in cui Matteo Salvini accoglierà
a Pontida Marine Le Pen, esponente dell'estrema destra con cui
FI non vuole avere a che fare e non è vicina neppure a Meloni.
Senza contare che l'asse Lega-FdI è teso anche per i dubbi,
espressi dal vice di Salvini, Andrea Crippa, sull'efficacia
della strategia diplomatica avviata dalla premier con Ursula von
der Leyen sulla gestione dei migranti. Nella visita lampo della
premier a Budapest, non c'è spazio per commenti pubblici su
questo. Unici riferimenti ai migranti sono nel comunicato post
incontro, quando i due leader ribadiscono "la necessità di
concentrarsi sulla dimensione esterna per prevenire le
partenze". E, prima ancora, nell'intervento di Meloni, che non
condivide la "narrazione" di chi "in modo strumentale sostiene
che la migrazione contribuirà alla crescita delle nostre
popolazioni". "Una quota di migrazione regolare, laddove
necessaria e pienamente integrabile, può rappresentare un
contributo positivo per le nostre economie", ma per lei "le
grandi nazioni devono assumersi le proprie responsabilità nel
realizzare il futuro proprio e del proprio angolo di mondo".
Parla al Museo delle belle arti di Budapest, in un summit che è
"la Mecca pro-famiglia", come dice la padrona di casa, la
presidente ungherese Katalina Novak, avvertendo che le famiglie
del suo Paese stanno portando avanti "una lotta di liberazione".
Meloni sottoscrive definendo a tutto tondo la sua visione del
contrasto all'inverno demografico. Non arriva ai toni del
comizio del 2019 a sostegno di Vox, ma lei stessa lo rievoca:
"Dissi 'mi chiamo Giorgia, sono donna, sono madre, sono
cristiana e nessuno me lo può togliere'. Lo misero in musica per
attaccarmi, ma non funzionò, è diventato un successo". Anche le
sue parole e il riferimento a dio vengono commentate, con una
certa ironia, dall'opposizione: "Meloni ha individuato la vera
emergenza. La guerra? Il caroprezzi? Le migrazioni? Niente
affatto. 'Serve una grande battaglia per… difendere Dio'. Mi
sbaglierò ma non credo - sottolinea ad esempio Giuseppe Conte -
che gli elettori l'abbiano votata per sostituire papa
Francesco". La premier punta anche sulla manovra per invertire
il trend. Vuole un salto di qualità nelle politiche per la
famiglia. Lo chiarì nel Consiglio dei ministri che ad aprile ha
varato il Def, e nelle riunioni dell'esecutivo più d'una volta è
stato indicato il modello di incentivi alla famiglia dei governi
Orban come punto di riferimento per le misure contro la
denatalità. Le ipotesi ora allo studio fra Mef, Palazzo Chigi e
ministeri competenti dovranno fare i conti con le strettoie
della Nadef, a fine mese. Una delle priorità è aiutare le donne:
"I figli rendono le donne più forti anche sul lavoro. Contesto
gli uomini secondo cui l'aumento di bambini disincentiverebbe il
lavoro femminile, l'esempio ungherese dimostra il contrario".
Orban ricambia. "Il futuro dell'Europa sta nella famiglia, e
cito Meloni quando disse che è importante che un bambino abbia
una madre e un padre", alza la voce il premier ungherese, senza
risparmiare bordate non inedite all'Europa: "È guidata da una
élite progressista e liberale che si occupa delle cose più
stupide e incredibili. In 35 anni ho imparato che non c'è
nessuna chance di convincere l'élite liberale, va messa da
parte. Serve un cambio di regime". Dopo Budapest e Roma, lui
guarda a Bruxelles. Magari facendo squadra con Meloni. Il tempo
delle scelte si avvicina.
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