Sul podio del salto in alto delle Olimpiadi di Tokyo 2020, Gianmarco Tamberi e Mutaz Barshim (oro ex aequo) si sono scambiati le medaglie e si sono di nuovo abbracciati. Per primo è stato suonato l'inno del Qatar, poi quello dell'Italia. Come Marcell Jacobs, anche Tamberi ha cantato l'inno sotto la mascherina.
L'infortunio alla caviglia sinistra e l'addio a Rio 2016. Da quel momento è ripartita la 'Road to Tokyo' di Gianmarco Tamberi. Lui e il papà Marco, suo allenatore, hanno dovuto fare i conti anche con i nuovi contraccolpi sulla gamba destra, quella del sovraccarico post-infortunio: "Piccoli infortuni all'arco plantare, al tendine rotuleo, al bicipite femorale, che hanno rallentato molto il suo equilibrio fisico. E in questo hanno contribuito molto i fisioterapisti Andrea Battisti, Fabrizio Borra e Andrea Benvenuti", conferma il tecnico Marco Tamberi.
"Nei primi due, tre anni - prosegue - ho cercato di migliorare il suo salto con una tecnica che scaricasse meno peso sulla sua caviglia. Ma quello è un salto che serve ad arrivare a misure tipo 2.32, 2.33, infatti il primo anno aveva fatto 31 e 32 nel 2018, lo stesso nel 2019. Poi abbiamo cambiato, si era ristrutturato, aveva risolto i problemi alla caviglia". E Gianmarco ha iniziato a volare sempre più in alto: "Lui è bravissimo a gestire le emozioni, poi ha un punto in cui alla terza prova cambia la gara. Va oltre l'ansia e supera il momento di difficoltà, stavolta quell'ansia non c'è stata. Ha fatto tutti salti buoni".
Fino al 2.37 di ieri, che è valso l'oro olimpico. "E' stato difficile, c'è voluta tanta tenacia, fortuna e forza di volontà", ricorda ora papà Marco, riferendosi a quel lungo cammino raccontato dal figlio: l'infortunio, l'operazione, la lenta ripresa, la piscina, i primi salti a 1.60, la necessita' di riprendere la sensazione del volo. "Quando ha vinto stavo svenendo. Poi ci siamo guardati, non ci potevamo neanche abbracciare perché distanti. Ieri ci ho messo tanto a realizzare".
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