Furono arrestati e poi
completamente scagionati dall'accusa di avere rapinato una
gioielleria a Cerignola (Foggia), ma non hanno diritto a un
risarcimento per l'ingiusta detenzione perché hanno
"colpevolmente omesso di rappresentare elementi a sostegno"
della loro estraneità ai fatti. Così la Corte di appello di Bari
ha respinto la richiesta presentata da Luciano Di Marco e della
moglie Anna Bonanno, torinesi di 42 e 35 anni. Secondo i giudici
nel corso delle indagini i due, pur sostenendo la loro
innocenza, si resero autori di "inesattezze e imprecisioni
macroscopiche" al punto da convincere gli inquirenti che i loro
alibi fossero falsi.
La rapina fu commessa l'8 marzo 2019. Il 5 giugno successivo
scattò l'arresto per Di Marco, che rimase in carcere per 120
giorni, mentre la moglie venne messa ai domiciliari perché aveva
partorito da poco.
A carico dei coniugi (e di un terzo personaggio, anche lui
risultato estraneo alla vicenda) vi erano i riconoscimenti delle
commesse del negozio. Marito e moglie affermarono che quel
giorno si trovavano a Torino - lui era al lavoro come operatore
del soccorso stradale, lei era andata dal pediatra - ma,
sebbene avessero presentato dei testimoni, non riuscirono a far
cambiare idea agli investigatori. Fu una perizia antropometrica
a stabilire la loro incompatibilità con i veri autori del colpo.
La coppia è assistita dagli avvocati Domenico Peila,
torinese, e Giacomo Lattanzio, del Foro di Foggia, che intendono
presentare un ricorso in Cassazione.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA