L'inchiesta che ha portato
all'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare nei
confronti di 11 persone, nel Brindisino, per associazione per
delinquere finalizzata a reati di droga, armi ed estorsioni, è
partita da un attentato compiuto nei confronti di un maresciallo
dei carabinieri, all'epoca in servizio nella stazione di
Latiano (Brindisi) al quale nella notte del 16 agosto 2019 fu
incendiata l'autovettura privata, parcheggiata vicino a casa.
Stando a quanto accertato, si trattava di una ritorsione nei
confronti del sottufficiale che aveva multato, per violazioni
del Codice della strada, un pregiudicato di Mesagne (Brindisi)
ritenuto dagli investigatori vicino ad affiliati alla Sacra
corona unita.
Dagli approfondimenti condotti, è poi emersa l'operatività di
presunti trafficanti di droga, attivi a Mesagne, Brindisi e San
Pietro Vernotico, su cui si sono concentrate le indagini
coordinate dalla Dda di Lecce e seguite anche dalla Direzione
centrale per i servizi antidroga del ministero dell'Interno. Gli
inquirenti ritengono che vi fosse un legame tra l'organizzazione
e alcuni esponenti di spicco della Scu, a riprova
dell'operatività sul territorio della provincia di Brindisi di
strutture criminali finalizzate al narcotraffico. Non è
contestata l'associazione di stampo mafioso, ma il gruppo in
questione sarebbe stato capeggiato dal fratello di un boss Scu
ucciso in un agguato, e composto da figli e parenti di altri
componenti di clan locali.
Il traffico avrebbe riguardato circa 50 chili di sostanze
stupefacenti di vario tipo: marijuana, hashish e cocaina.
Sarebbero state rifornite le piazze del Brindisino, ma anche
località in provincia di Verona. L'associazione per delinquere
avrebbe avuto disponibilità di pistole e fucili e sarebbe stata
in grado di reclutare anche persone insospettabili: camionisti,
commercianti e professionisti in contatto con la pubblica
amministrazione.
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