Cinque persone ritenute appartenenti al clan Pesce di Andria sono state sottoposte a fermo - e sono in carcere dopo il provvedimento del gip di Trani - perché indiziate, in concorso, dei reati di estorsione e usura aggravati dal metodo mafioso, detenzione illegale e porto in luogo pubblico di pistola. Dalle indagini, coordinate dalla direzione distrettuale antimafia di Bari, è emersa una "escalation di violenza" del gruppo. Le indagini, partite da altre investigazioni sul fenomeno dei sequestri-lampo nella provincia di Barletta-Andria-Trani, hanno messo in luce la "rinnovata pericolosità dei Pesce" data dalla scarcerazione di alcuni membri, tale da far "registrare la preoccupazione degli ambienti criminali andriesi, allarmati dal sistema estorsivo avviato nel territorio".
A due degli arrestati è contestata un'estorsione, aggravata da metodo mafioso, ai danni di un membro della polizia locale in servizio a Barletta, coinvolto in un incidente stradale con uno degli indagati e costretto a ripararne la macchina "pur non avendo alcuna colpa" - ha precisato in conferenza dal coordinatore della Dda di Bari Francesco Giannella - e a non denunciare all'assicurazione. "Mi devi aggiustare la macchina di tasca tua, io nei tuoi panni non mi ci metto, se no ti strappo la testa.
Come ti trovo in mezzo alla strada di schiaccio la testa come un verme", avrebbe detto uno degli indagati, intercettati, all'agente. Un altro episodio di estorsione avrebbe avuto come vittime più persone "costrette con violenza e minaccia - scrivono gli inquirenti - a dover pagare somme di denaro esorbitanti". "Le vittime - si legge ancora - hanno dovuto sottostare a queste pretese avanzate con la violenza propria dell'intimidazione mafiosa e, dopo aver pagato, sono state nuovamente oggetto di richiesta di altri soldi".
In un altro episodio, una vittima sarebbe stata minacciata con una pistola davanti ai propri familiari: "Non ti faccio solo perché ci sono dei bambini", avrebbe detto uno degli indagati.
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