"Mi ha colpito il fatto che Padre
Pio sia un secondo Cristo, un Cristo italiano. E poi è un Santo,
un eroe popolare che spesso viene rappresentato come un Dio, ma
allo stesso tempo è così contemporaneo. Abbiamo cominciato a
fare ricerche entrando nel personaggio come avevamo già fatto
con Pasolini. Così abbiamo letto i suoi libri, le sue bellissime
lettere, siamo insomma entrati nella sua vita e colto tutto il
suo grande carisma".
Così Abel Ferrara racconta il suo Padre Pio, film già a Venezia
alle Giornate degli Autori, oggi al 70° Taormina Film Festival e
dal 18 luglio finalmente in sala con Rs .
Ed era inevitabile che il regista de Il cattivo tenente e della
trilogia del peccato (e della redenzione), da sempre affascinato
da chi vive ai margini, dagli underdog, facesse alla fine un
film non solo sulla santità, ma su una santità difficile perché
piena di ostacoli e sospetti come quella di Padre Pio.
Un personaggio problematico, cupo quello del santo delle
stigmate interpretato da un attore altrettanto problematico e in
piena crisi mistica come Shia LaBeouf, che proprio grazie a
questo ruolo si è convertito al cattolicesimo lui cresciuto sia
come ebreo dalla madre che come cristiano dal padre.
Siamo nel 1920, e in parallelo alla storia del Santo, Abel
Ferrara racconta anche i fatti sanguinosi e poco noti avvenuti a
San Giovanni Rotondo nell'ottobre dello stesso anno, in cui ci
furono le prime elezioni vinte dalla sinistra, ma in questo
paesino dominato da preti e proprietari terrieri, la destra negò
il risultato delle votazioni e ci fu una strage, tredici
persone, una sorta di anticipazione del fascismo a venire.
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