Sono passati ormai due anni dal febbraio 2019, quando con singole iniziative clamorose il latte munto dalle pecore venne sversato in terra e prese inizio la protesta dei pastori sardi.
Da lì a poco, si ritrovarono a migliaia nelle strade di tutta l'isola con la richiesta di ridare "dignità" ad un intero settore e chiedere di rivedere le dinamiche per la definizione del prezzo del latte ovino, che era sceso a 60 centesimi a litro. Oggi quella battaglia - ancorché sopita - non si è fermata. Il prezzo medio dei primi conferimenti ai trasformatori nella campagna lattiero-casearia 2020-2021 si aggira attorno agli 85 cent mentre, per gli allevatori della Sardegna, "le quotazioni dei formaggi giustificherebbero un prezzo sopra l'euro".
"Ma il tutto avviene in una giungla senza il contratto tipo che avrebbe dovuto sviluppare l'Organismo interprofessionale latte ovino sardo (Oilos) e dunque senza garanzie per gli allevatori che sono alla mercé dei trasformatori - dicono all'ANSA i portavoce dei pastori senza bandiere Gianuario Falchi e Nenneddu Sanna - Dopo quella ottenuta con le proteste per quell'anno, manca la griglia definitiva che avrebbe dovuto individuare un prezzo di riferimento del latte ancorato alla quotazione di tutti i formaggi, della ricotta e dei costi di produzione.
Insomma - osservano - il mercato del formaggio e i rapporti tra trasformatori e pastori rappresentano sempre una giungla".
E mentre gli strascichi delle proteste si stanno ancora facendo sentire nelle aule dei tribunali dove decine di pastori sono chiamati a rispondere delle manifestazioni non autorizzate, i pastori rilanciano: "bisogna riaprire i tavoli regionale e ministeriale per arrivare a creare le regole che ancora mancano - osservano - non possiamo accettare che con la scusa della pandemia tutto vada in dimenticatoio per poi ritrovarci tra qualche anno col latte pagato nuovamente a 0,60 euro perché le aziende sarde, in questo momento, non sarebbero in grado di affrontare una seconda ondata di catastrofe economica".
Allevatori delusi dalla politica ma non piegati: "ci sentiamo presi in giro sia dalla politica regionale sia dal ministero dell'agricoltura. Siamo sconsolati ma non ci arrendiamo, difenderemo fino in fondo il futuro delle nostre aziende e dell'intero indotto, onoreremo fino in fondo la nostra dignità", concludono Falchi e Sanna.
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