Una promozione. E un sesto posto
in Serie A che oggi avrebbe garantito la partecipazione
all'Europa League. Era il Cagliari di Mario Tiddia tra la fine
degli anni Settanta e i primi Ottanta. Ma in campo andavano
"Corti, Lamagni, Longobucco...". Sono i primi tre nomi della
formazione. Diventati il titolo del nuovo libro del giornalista
Roberto Montesi. Prefazione di Gigi Riva, che di quella squadra
è stato general manager, direttore sportivo e tanto altro.
Tre anni di storia rossoblù che hanno avuto potere e merito
di riaccendere entusiasmi sopiti dopo il declino del Cagliari
dello scudetto. Tra i momenti più esaltanti la partita
promozione con la Sampdoria, 3-0 in un Sant'Elia esaurito e
impazzito con la rovesciata di Gattelli. E la vittoria sulla
Juventus di Trapattoni, ottenuta ribaltando il risultato con due
reti negli ultimi dieci minuti.
Seguono interviste approfondite a tutti i giocatori di
quell'epopea: tra gli altri, Roberto Corti, Roberto Quagliozzi,
Oreste Lamagni, Franco Selvaggi, Alberto Marchetti, Francesco
Casagrande, Pino Bellini, Gigi Piras, Pietro Paolo Virdis,
Emanuele Gattelli, il capitano Mario Brugnera, si raccontano a
cuore aperto. Non meno importanti i profili dei componenti staff
tecnico.
A fianco delle storie dei personaggi più illustri, nel libro
trovano posto quelle di protagonisti che hanno avuto meno spazio
sul campo, ma ugualmente degne di rilievo. Come il barbaricino
Luigi Natale, diventato un poeta lodato da Mario Luzi; o
Alessandro Cristiani, bomber della Nazionale parlamentari; o
Daniele Goletti, preparatore dei portieri della Nazionale Under
21; o il compianto Roberto Sequi, direttore sanitario del
Brotzu.
Un capitolo speciale è riservato agli avversari: Salvatore
Bagni, Ivano Bordon, Sergio Brio, Claudio Sala, Gigi Delneri,
Ciccio Graziani, Pietro Vierchowod e tanti altri ex campioni
rievocano le roventi sfide di quegli anni col Cagliari. In
appendice, una ricca galleria fotografica e i tabellini di tutte
le partite.
"Il libro racconta anche un certo tipo di calcio che non c'è
più - spiega l'autore -. Più umano, genuino. Meno marketing e
più cuore. I giocatori non baciavano la maglia, ma restavano
nella stessa squadra tutta la carriera. Le partite si giocavano
tutte in contemporanea, il calcio era un rito pagano che si
perpetuava ogni domenica. Al netto dell'effetto nostalgia, un
calcio migliore".
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