Vessato dalla moglie per anni, aveva cercato anche di farla curare per i suoi problemi psichiatrici ma al termine dell'ennesima lite l'aveva uccisa con un coltello. Paolo Randaccio, oggi 71enne, nel 2021 aveva chiamato i carabinieri subito dopo il delitto in casa a Quartucciu, nel Cagliaritano, e si era fatto trovare ancora con in mano l'arma usata per uccidere. E durante l'interrogatorio aveva ammesso le proprie responsabilità. Si era parlato subito dell'ennesimo caso di femminicidio e il processo in Corte d'assise a Cagliari, nel quale rischiava da 21 anni all'ergastolo, è terminato con una condanna a 12 anni e tre di libertà vigilata. Sia il pm Nicola Giua Marassi che i legali dell'uomo, Andrea Nanni e Luca Pennisi, avevano, infatti, sollevato il dubbio che il divieto assoluto di diminuire la pena in presenza di circostanze attenuanti - introdotto nel 2019 dal Codice Rosso - senza dare ai giudici la possibilità di valutare caso per caso, fosse incostituzionale. In ottobre la Consulta gli ha dato ragione cassando quella disposizione sulla quale era stata sollevata una questione da due ordinanze della Corte d'assise d'appello di Torino e appunto dalla Corte d'assise di Cagliari.
Il caso di Torino è quello di Alex Pompa che, allora 18enne, nel 2020 a Collegno uccise a coltellate il padre, Giuseppe, per difendere la madre nel corso dell'ennesima lite in famiglia. Il 21enne, che rischiava anche lui una pena più severa, è stato condannato a 6 anni, 2 mesi e venti giorni di reclusione per effetto di quella sentenza della Corte Costituzionale. I due processi sono già diventati casi di scuola giuridica.
"Siamo soddisfatti - dicono i legali di Randaccio che hanno deciso di attende le motivazioni per presentare l'eventuale appello - occorre avere una visione più ampia perché la sentenza della Consulta vale anche a parti invertite, quando è la donna che uccide il marito. In questo caso la valutazione va fatta non sulla base dell'onda emotiva ma sulla sussistenza o meno delle attenuanti previste dalla legge, che sino alla sentenza della Consulta non potevano prevalere sulle aggravanti".
Erano stati gli stessi giudici della Consulta a sottolineare che la pronuncia "non si pone in contrasto con la finalità complessiva perseguita dal legislatore del 2019 di rafforzare la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, ma semplicemente evita che dalla legge n. 69 del 2019 discenda un effetto collaterale incongruo".
Randaccio, che ha già trascorso due anni e tre mesi di reclusione, ora si trova ai domiciliari.
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