"La prigione è anzitutto una pena
corporale, non è un semplice divieto posto alla libertà di
circolare, come si è provato a dimostrare fin qui. Pena
corporale perché il suo scopo è quello di spezzare la
personalità, in questo non facendo che seguire con altri mezzi
il cammino segnato dalla tortura". Inizia così il post
pubblicato su Facebook dal medico anestesista sardo Tomaso
Cocco, primario del reparto di Terapia del dolore dell'ospedale
Binaghi di Cagliari, tornato in libertà il 21 marzo scorso dopo
essere stato in carcere a Cagliari, a Palermo e poi ai
domiciliari dal 27 settembre scorso, giorno dell'arresto
nell'ambito dell'inchiesta "Monte Nuovo", della Dda di Cagliari,
su una presunta associazione criminale della quale avrebbero
fatto parte colletti bianchi ed esponenti della criminalità del
Nuorese.
"Posso dire però - scrive il primario - che la reclusione è
organizzata come se volesse farci dimenticare che abbiamo un
corpo. Il corpo reso muto è un corpo da dimenticare. Il corpo
ignorato smette però di reagire come un animale domestico. E
l'animale in gabbia rivela, anche se sembrava domestico,
caratteristiche fino ad allora poco conosciute. La prima
scoperta da farsi è che il corpo ignorato non produce vuoto ma
dolore: dolore fisico. Il dolore è una reazione all'ignoranza
del corpo, serve a ricordarci che siamo un corpo. E' l'aspetto
assunto dal senso della realtà, criterio di verità che prova ad
ancorare la mente al mondo, dicendoci che ne siamo parte. E' la
parola dei muti ai quali non è consentito il gesto", conclude
Cocco.
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