Corsa contro il tempo, ma questa volta meteorologico, per salvare i nuraghi. Resistono a tutto, tanto è vero che sono lì in piedi da quasi quattromila anni. Ma molti, nei secoli, sono scomparsi: i nemici principali sono pioggia e gelo. E gli sbalzi di temperatura. L'acqua, congelando, si espande e provoca rotture nella struttura della pietra. Ma anche i sali, quando evapora l'acqua, creano pressioni pericolose.
I giorni peggiori per i nuraghi sono novanta, da novembre a gennaio. Ora i tre mesi più temibili per la sopravvivenza dei monumenti simbolo della Sardegna sono stati individuati in uno studio nato nell'isola e pubblicato sulla rivista internazionale Case Studies in Construction Materials. Ma la scoperta più importante è che i nuraghi si possono salvare: gli esperti hanno creato un modello 'fuzzy' (procedura che sfrutta delle variabili non semplicemente come numeri ma con decisioni che si sovrappongono senza classificazioni rigide) per monitorare e proteggere i nuraghi o i siti archeologici dal degrado legato al tempo meteorologico.
l test è stato realizzato nel sito di Genna Maria, a Villanovaforru, a una sessantina di chilometri da Cagliari. Ma il sistema 'salva nuraghi' può essere applicato dappertutto, magari anche sui giganti di Mont'e Prama, o su altri siti archeologici.
"Grazie all'interazione - spiegano gli autori della scoperta - tra diverse variabili (proprietà dei materiali in opera e condizioni ambientali: temperatura, umidità relativa, radiazione solare, velocità e direzione del vento, ecc.), siamo riusciti a stimare i periodi in cui la struttura è più esposta al degrado.
I mesi di maggiore vulnerabilità sono risultati essere gennaio, febbraio e dicembre. Abbiamo confrontato le previsioni del modello con i fenomeni osservati sul posto e con i risultati dei test di invecchiamento accelerato in laboratorio, confermando l'affidabilità del modello".
Non solo vento, pioggia e neve. "Per il futuro, intendiamo sviluppare ulteriormente il modello per includere altri fattori di deterioramento che contribuiscono al degrado della struttura.
Ad esempio, esamineremo l'impatto del degrado causato dall'uomo, la colonizzazione biologica in alcune aree e la dissoluzione dei carbonati nei blocchi di pietra. Combinando diversi aspetti, potremo ottenere una visione più completa del degrado, considerandolo come il risultato cumulativo di vari fattori, e stimare meglio le cinetiche di degrado".
L'idea è quella di sfruttare quello che già esiste: le stazioni di rilevamento meteorologico. In questo modo si potrebbe dar vita a un database a servizio degli esperti del settore per poter facilitare le scelte progettuali per la conservazione dei beni culturali.
I protagonisti della ricerca sono Marta Cappai (ricercatrice a tempo determinato), Giorgio Pia (professore associato in Scienza e Tecnologia dei Materiali nel Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Chimica e dei Materiali dell'Università degli Studi di Cagliari, Ulrico Sanna (professore ordinario in pensione). La gestione dei dati in futuro potrebbe essere affidata all'intelligenza artificiale. Ma la protezione dei nuraghi può iniziare subito: il modello consente immediatamente di valutare gli eventuali pericoli e di prendere di conseguenza le dovute precauzioni.
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