(di Giovanni Franco)
Le automobili coperte dalla pietre
e dai detriti, causati dall'esplosione del tritolo che sventrò
l'autostrada e sullo sfondo i cartelli con le scritte Palermo
Capaci, sotto i primi investigatori giunti sul posto che
vagavano come fantasmi in una zona di guerra dopo un
bombardamento. Un fermo immagine che conquistò 30 anni fa le
prime pagine e le copertine di tutti i giornali del mondo. Era
il l 23 maggio 1992, il tempo era grigio, piovigginava e faceva
caldo. "Quello fu lo scatto iconico che mostrò all'intero
pianeta cosa fosse stata capace di organizzare la mafia sulla
A-29 quel dannato pomeriggio", ricorda Franco Lannino, 63 anni,
il primo fotoreporter dell'ANSA giunto sul luogo della strage
dove morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca
Morvillo, anche lei magistrato e gli agenti di scorta, Vito
Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro e dove rimasero
ferite 23 persone, fra le quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo
Corbo, Gaspare Cervello e l'autista giudiziario Giuseppe
Costanza. Arrivare lì, dove i boss mafiosi misero in atto
quello che chiamarono "l'attentatuni" non fu facile. Una vera e
propria odissea con una serie di ostacoli che Lannino ricorda
"come se fosse oggi".
"Quel giorno ero all'inaugurazione della Fiera del Mediterraneo.
- racconta, carezzandosi la barba - Il giornale L'Ora aveva
cessato le pubblicazioni, pochi giorni prima, il 9 maggio ed io,
che ci avevo lavorato dal 1998, prendendo il posto di Letizia
Battaglia, dovevo reinventarmi. Ad un tratto un poliziotto mi
avvicinò e mi disse: 'Franco cosa fai ancora qui? Vai ad Isola
delle Femmine, c'è stata un'esplosione sembra alla cementeria,
pare ci siano dei morti'. Non me lo feci dire due volte, mollai
tutto e scappai via. Ero in automobile, una della rare volte,
perché in genere giravo in Vespa. Doveva essere un sabato
tranquillo...".
"Come un fulmine mi diressi verso la circonvallazione per
raggiungere l'autostrada in direzione Trapani. - prosegue -
All'altezza di Tommaso Natale l'amara sorpresa, Un posto di
blocco dei Vigili Urbani. Non si passa! Vidi e sentii le sirene
di due ambulanze sfrecciare verso Palermo. Non sapevo cosa fare.
Mi convinsi che a piedi sarei comunque arrivato. 'Che saranno
cinque chilometri a piedi', mentre pensavo a questo, come in un
film d'azione vidi un mio collega, il giornalista Franco Nuccio,
allora giovane cronista dell'ANSA, che a bordo della sua
motocicletta, una Guzzi modello California, si faceva strada per
andare a Capaci. Sì Capaci, così uno degli agenti della
municipale ci disse. Li' è saltato per aria un pezzo di
autostrada. Un attentato ad un giudice e ad alcuni uomini di
scorta. Le notizie diventavano sempre più precise. Saltai sulla
moto dietro Franco e lo spronai a lasciare l'autostrada e a
prendere la bretella laterale", rammenta ogni secondo di quelle
ore Lannino. Parla come un fiume in piena. "Fu così che in pochi
minuti arrivammo. Eravamo sotto il luogo dove i 500 chili di
tritolo squassarono quelle due strisce di asfalto, creando una
voragine gigantesca. Le auto sembravano bombardate. Già perché
tutti noi che eravamo lì cercavamo mentalmente di capire cosa
fosse successo. Chi credeva che fossero state sganciate delle
bombe di aereo, chi pensava che fosse stata un auto imbottita di
esplosivo. Pian piano la verità emerse. E comprendemmo che era
stato un grossissimo ordigno seppellito sotto terra a creare
l'inferno".
"La scena era da guerra, non puoi scordare quelle immagini e
soprattutto quelle sensazioni - dice Lannino guardando nel vuoto
- . C'era sgomento ma c'era anche adrenalina, c'era tristezza e
c'era rabbia. 'E che ci hanno messo una bomba atomica?' Urlò un
poliziotto. Scattavo velocemente con la mia Nikon Fm analogica
come se il mio cervello fosse un computer". Frammenti di storia
in bianco e nero, pellicola Ilford Hp5 "tirata a 1600" e a
colori, con Kodak Jpm e diapositive pellicola Ektachrome 400,
"quasi come una dea Calì, le mie mani afferravano le fotocamere
e riprendevo. Ma non rimasi molto sul posto, perché dovevo
inviare le foto", spiega Lannino. "In quegli anni il digitale,
gli smartphone e Whatsapp erano parole astratte - afferma -
Quindi ritornai, a Palermo dietro allo scomodo sellino di un
motorino, questa volta un piccolo "Ciao" della Piaggio di un
ragazzino che mi diede un passaggio. Nel mio studio sviluppai i
negativi, e feci le stampe. Poi andai trafelato, in via Emerico
Amari, nella sede siciliana dell'ANSA, al quarto piano, ad
infilare le istantanee ancora bagnate nell'apparecchio delle
telefoto e trasmettere a tutti gli organi di stampa in
abbonamento quell'immagine che il giorno dopo sarebbe stata
sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo".
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