Dallo scorso 6 luglio si chiama
Emanuela, anche se è un uomo. Dopo vent'anni di battaglie il
tribunale di Trapani le ha infatti riconosciuto il diritto di
cambiare nome e identità di genere all'anagrafe senza alcun
intervento chirurgico effettuato o programmato e senza alcuna
terapia ormonale. Un caso unico in Italia, reso possibile da un
principio estrapolato da una sentenza della Corte di Cassazione
che ha consentito a un'altra transgender di legittimarsi come
donna prima dell'operazione, che però era pianificata.
Emanuela, 53 anni, di Erice (Tp), ricostruisce la sua storia
in un'intervista all'edizione locale del quotidiano La
Repubblica, spiegando che a 5 anni sentiva già dentro di lei "un
universo femminile. Perché quando si è transgender il bambino, o
la bambina, percepisce la sua identità nell'immediato". Una
ventina d'anni fa ha iniziato il classico percorso per la
riassegnazione sessuale per via ormonale e chirurgica, che per
la legge è un passaggio obbligatorio per richiedere il
cambiamento all'anagrafe e sui documenti. "Ma quando i medici mi
spiegarono le conseguenze, vista l'alta invasività del
trattamento, ho scelto di non farlo — racconta — e di convivere
in armonia con il mio corpo. Non avere l'organo sessuale
femminile non compromette il modo in cui mi percepisco, le mie
sembianze non offuscano la mia identità femminile".
Oggi Emanuela è finalmente un donna felice. "Spero che la mia
esperienza - chiosa - possa escsere di aiuto per altre persone
nelle mie stesse condizioni. Noi transgender siamo viste come
alieni, quando basterebbe conoscerci per capire che siamo
persone come tutte".
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