Misure governative che impongono la
prosecuzione di attività produttive di rilievo strategico per
l'economia nazionale o la salvaguardia dei livelli
occupazionali, nonostante il sequestro degli impianti ordinato
dall'autorità giudiziaria, sono costituzionalmente legittime
soltanto per il tempo strettamente necessario per portare a
compimento gli indispensabili interventi di risanamento
ambientale. Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella
sentenza n.105, depositata oggi, con la quale ha esaminato una
questione sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Siracusa nell'ambito di un procedimento relativo al
sequestro degli impianti di depurazione di Priolo Gargallo, che
a sua volta si iscrive in una più ampia indagine per disastro
ambientale, ipotizzato a carico di varie aziende petrolchimiche
operanti nella zona.
Nel vagliare la legittimità costituzionale di questo
meccanismo, la Corte ha ricordato che la recente riforma
costituzionale del 2022 ha attribuito espresso e autonomo
rilievo, nel nuovo testo dell'art. 9, alla tutela dell'ambiente,
della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell'interesse
delle future generazioni. Inoltre, la riforma ha esplicitamente
chiarito che la tutela della salute e dell'ambiente costituisce
un limite alla stessa libertà di iniziativa economica. Tenendo
conto di queste indicazioni, da un lato la Corte ha ritenuto non
incompatibile con la Costituzione la previsione della
possibilità per il Governo di dettare direttamente, in una
situazione di crisi e in via provvisoria, misure conformi alla
legislazione vigente, che consentano di assicurare continuità
produttiva, contenendo il più possibile i rischi per l'ambiente,
la salute e la sicurezza dei lavoratori. Dall'altro lato, queste
misure - la cui effettiva osservanza dovrà essere costantemente
monitorata dalle autorità competenti - dovranno comunque
"tendere a realizzare un rapido risanamento della situazione di
compromissione ambientale o di potenziale pregiudizio alla
salute determinato dall'attività delle aziende sequestrate", e
non invece "a consentirne indefinitamente la prosecuzione
attraverso un semplice abbassamento del livello di tutela di
tali beni".
In applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto
costituzionalmente illegittima la mancata previsione, nella
norma esaminata, di un termine massimo di 36 mesi di operatività
delle misure in questione. Entro questo termine, occorrerà in
ogni caso assicurare il completo superamento delle criticità
riscontrate in sede di sequestro e ripristinare gli ordinari
meccanismi autorizzatori previsti dalla legislazione vigente.
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