L'accusa, specie per un magistrato, è tra le più infamanti: favoreggiamento aggravato alla mafia.
È questo il reato che la Procura di Caltanissetta, a oltre 30 anni dalle presunte condotte che sarebbero ampiamente prescritte, contesta all'ex pm Gioacchino Natoli, una vita nell'antimafia, per anni componente del pool di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, pubblica accusa al processo Andreotti.
In sintesi - ma la questione è molto complessa - secondo i colleghi che gli hanno notificato un invito a comparire per rendere interrogatorio, Natoli per aiutare imprenditori mafiosi come Francesco Bonura e Antonio Buscemi avrebbe cercato di insabbiare un filone della cosiddetta inchiesta mafia-appalti, una indagine che, ritengono i familiari del giudice Borsellino, sarebbe poi stata la causa dell'attentato di Via D'Amelio. "Sono stato e sono un uomo delle istituzioni e ho piena fiducia nella giustizia. Darò senz'altro il mio contributo nell'accertamento della verità", ha replicato l'ex magistrato. Ma in che modo Natoli, nel tempo arrivato a ricoprire ruoli di vertice nella magistratura, avrebbe favorito Cosa nostra?
Nell'invito a comparire la Procura nissena elenca una serie di condotte che ruotano tutte attorno a un procedimento a carico di ignoti che ipotizzava infiltrazioni mafiose nelle cave di Carrara, aperto dalla procura del luogo e trasmesso a Natoli, allora pm a Palermo. Per i colleghi di Caltanissetta su istigazione dell'ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco, nel frattempo deceduto, e con l'allora capitano della Guardia di Finanza Stefano Screpanti, Natoli dunque avrebbe finto di indagare disponendo intercettazioni lampo e "solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione", scrivono i pm, evitando così che fossero trascritte invece conversazioni "particolarmente rilevanti dalle quali sarebbe emerso, ad esempio, il legame tra l'ex politico Ernesto Di Fresco e l'imprenditore mafioso Francesco Bonura. L'ex pm inoltre avrebbe omesso di indagare due imprenditori a disposizione di Bonura e poi chiesto l'archiviazione del fascicolo toscano "senza curarsi di effettuare ulteriori approfondimenti e senza acquisire il materiale concernente le indagini effettuate dalla Procura della Repubblica di Massa". Come se non bastasse, per Caltanissetta, "per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche, avrebbe disposto la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci".
Una ipotesi, quest'ultima, che stride con la realtà perchè le bobine non sono mai state distrutte e sono state trovate negli archivi della Procura di Palermo. La ricostruzione, di per sé molto pesante, si scontra anche col dato della prescrizione: il reato di favoreggiamento è infatti abbondantemente estinto. Sulla vicenda Natoli, che non aveva affatto un buon rapporto con Giammanco ma che per i colleghi di Caltanissetta ne sarebbe stato succube, si era già ampiamente difeso davanti all'Antimafia a cui aveva chiesto di essere sentito, stigmatizzando le accuse del genero di Borsellino, l'avvocato Fabio Trizzino, che l'aveva indicato come il responsabile dell'insabbiamento di una inchiesta che, a suo dire, il suocero avrebbe invece certamente approfondito. Nell'audizione fiume davanti ai commissari Natoli ha detto diverse cose rilevanti per ricostruire i fatti. Due tra tutte: le famose intercettazioni fatte dopo l'arrivo del fascicolo toscano erano, anche a parere della Finanza, assolutamente irrilevanti, e comunque le famose bobine non sono mai state smagnetizzate, tanto che sono agli atti dei pm nisseni. "Se io avessi avuto un qualche interesse alla reale smagnetizzazione di fonti di conoscenza delle quali, secondo l'avvocato Trizzino, avrei dovuto rendere conto e ragione al compianto Paolo Borsellino se fosse rimasto in vita, avrei eseguito la smagnetizzazione", ha detto all'Antimafia Natoli.
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