Un boss riservato che preferiva
restare sottotraccia, in quell''Ombra' che ha dato il nome
dell'operazione antimafia della Polizia a Catania contro Cosa
nostra etnea. Francesco Russo, 51 anni, preferiva avere un ruolo
apparentemente delineato nel mondo della criminalità
organizzata, mentre, secondo la Dda di Catania era diventato il
reggente della 'famiglia' Santapaola dopo un riassetto dei ruoli
apicali dell'organizzazione. E' quanto emerge dall'inchiesta
dell'operazione 'Ombra' di Squadra mobile di Catania e dello Sco
che ha portato all'arresto di 23 indagati: 18 in carcere e
cinque agli arresti domiciliari. Per due persone il gip ha
disposto l'obbligo di dimora
Russo, ricostruisce la Dda di Catania, "nonostante il ruolo
di vertice che avrebbe ricoperto nel sodalizio, decideva di
'operare nell'ombra', seguendo un rigoroso modus operandi che ne
assicurasse la riservatezza e la distanza dalle frange più
strettamente operative e quindi esposte al rischio di indagini".
Nuovi vertici, osserva la Procura, che "manifestavano la certa
propensione a ricorrere sistematicamente alla violenza come
strumento per ribadire la loro autorità criminale nei territori
di loro 'competenza' mafiosa". Tanto da fare irruzione, il 26
agosto del 2023, in uno stabilimento balneare di Aci Castello
colpendo con violenza e ripetutamente al capo col calcio della
pistola alcuni dei presenti, minacciandoli con l'arma puntata al
volto. Il successivo 9 settembre, sempre il gruppo della
Stazione, avrebbe anche aggredito e minacciato di morte un
giovane Santapaola, parente alla lontana della famiglia dello
storico capomafia Benedetto, spiegando alla vittima che "nei
suoi confronti non erano stati adottati provvedimenti più duri
solo in virtù del suo cognome". Il 31 ottobre del 2023 lo stesso
reggente Francesco Russo, dismettendo la consueta riservatezza,
avrebbe gambizzato un uomo come "ritorsione per avergli mancato
di rispetto durante un diverbio in ambito lavorativo".
Il ricorso alla violenza da parte degli esponenti di Cosa
nostra catanese come strumento di affermazione sul territorio,
ricostruisce ancora la Dda, portava a diversi episodi di
fibrillazione con esponenti del contrapposto clan Cappello -
Bonaccorsi, uno dei quali sfociava nella sparatoria avvenuta il
21 ottobre del 2023 nella zona del 'Passarello' del rione San
Cristoforo, storica roccaforte della cosca rivale, quando un
esponente del clan Cappello-Bonaccorsi, Salvatore Pietro
Gagliano, avrebbe esploso alcuni colpi d'arma da sparo contro
alcuni esponenti del gruppo della Stazione. Quest'ultimo avrebbe
progetto di uccidere Gagliano nonostante una serie di riunioni
mafiose tra gli esponenti di vertice delle due organizzazioni
per appianare il contrasto e scongiurare ulteriori e pericolose
degenerazioni armate.
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