Si accende il clima del Pd in
Sicilia. Ad alimentare le fibrillazioni interne al partito,
tenute più o meno sotto traccia per le profonde divergenze nel
gruppo dirigente sulle procedure per il congresso regionale -
parola tra marzo e aprile ai soli tesserati o primarie? - è la
posizione assunta dal gruppo parlamentare all'Assemblea
siciliana che pur votando contro ha incassato alcune norme nel
maxi-emendamento alla manovra di stabilità regionale approvata
dall'Assemblea siciliana il 28 dicembre, che ha permesso al
governo Schifani di incassare bilancio e finanziaria entro fine
anno, non succedeva da vent'anni. Alla linea intransigente di
chi sostiene che i parlamentari non avrebbero dovuto dialogare
col governo contestando ad alcuni deputati di avere prestato il
fianco parcellizzando i finanziamenti ottenuti per interessi
territoriali, si contrappone quella della maggioranza
parlamentare secondo cui proprio l'azione all'Ars è servita a
modificare la manovra e a convogliare parte delle risorse
disponibili verso provvedimenti generalisti e di sostanza.
Di questa contrapposizione, diversi dirigenti, contattati
dall'ANSA, spostano l'analisi politica sul piano interno legato
proprio alla fase congressuale e ai dissidi sulla modalità di
votazione. Più di un dirigente rivela che la chat interna in
queste ore è bollente e c'è chi non esclude, a questo punto,
l'ipotesi estrema del commissariamento del Pd siciliano o di un
referendum interno che spaccherebbe ancora di più il partito. Si
parla addirittura di dimissioni nella segreteria, guidata da
Anthony Barbagallo, tra qui quelle di Fabio Venezia, vice
capogruppo all'Ars, ma non ci sono conferme.
E in questo scenario i fari sono puntati sull'appuntamento
dell'11 gennaio: in questa data si dovrebbe riunire l'Assemblea
regionale del Pd proprio per discutere del regolamento
congressuale, anche alla luce della recente delibera della
commissione di garanzia nazionale. Un condizionale d'obbligo per
chi ritiene che in questo clima l'Assemblea dovrebbe essere
rinviata.
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