Uccise due volte, prima
assassinate da un compagno che sopprime con furia ogni scampolo
di autonomia e poi da una percezione distorta pronta a dare lo
stigma infamante del "se l'è cercata". È il destino comune delle
vittime dei femminicidi in Italia, un fenomeno analizzato nel
corso dell'ultima videoconferenza del Progetto educativo
antimafia del centro Pio La Torre che ha coinvolto centinaia di
scuole da Nord a Sud Italia proprio in occasione dell'8 Marzo. A
discutere di "Violenza di genere e femminicidio tra narrazioni
mediatiche e sentenze giudiziarie" sono state la sociologa
dell'Università di Palermo, Alessandra Dino, la sua collega
dell'Università di Bologna, Pina Lalli, la giornalista Lidia
Tilotta, la vicepresidente del centro La Torre, Rita Barbera,
insieme al presidente Vito Lo Monaco.
"È un fenomeno trasversale - ha detto la sociologa Dino -
che riguarda anche ceti molto scolarizzati. Da una ricerca
svolta con una onlus siciliana è emerso che il maggior numero di
richieste di intervento a Palermo è arrivato dal quartiere
Libertà, un quartiere 'bene' della città". Dino ha anche parlato
di "Un codice penale italiano a lungo misogino, che ha trattato
in modo diverso uomini e donne, eliminando tardivamente, nel
1981, l'istituto del matrimonio riparatore" e di recenti
sentenze che, a fronte di una violenza spesso efferata, non
hanno riconosciuto le aggravanti per futili motivi per via della
gelosia".
"Assistiamo ancora a questo stereotipo della passione ferita
che funge da movente", ha detto Pina Lalli che ha presentato una
ricerca secondo la quale ad avere maggior risalto sulla stampa
sono quei casi, la minoranza in realtà, in cui l'omicida è un
partner occasionale, quando il maggior numero di femminicidi si
ha all'interno di relazioni stabili o rapporti di parentela. Ma
sono clichè lenti a morire, come quello che delega la funzione
dell'accudimento esclusivamente alle donne. Non è un caso se in
una città come Bologna dove il tasso di occupazione femminile è
comunque alto - ha ricordato Lalli - durante il lockdown sono
state più le donne degli uomini a chiedere di interrompere il
lavoro per potere assistere i propri familiari. Mancano ancora
politiche economiche e sociali attive".
La giornalista Lidia Tilotta ha sottolineato la
sensibilizzazione raggiunta oggi nei confronti di "certe parole
abusate in passato come "baby squillo" o "raptus" ma esiste
ancora l'hate speech e non è facile fare un'informazione
corretta quando il flusso di notizie è sempre più ampio e
accessibile e il tempo incalza".
"Nel corso dell'incontro di oggi sono state oltre 100 le
domande pervenute dagli studenti, su vari fronti: dalla
mercificazione del corpo femminile al ruolo delle donne nelle
nuove mafie - ha detto Vito Lo Monaco, presidente del centro
studi - e il fatto che il Miur abbia riconosciuto la validità
delle nostro progetto come insegnamento di educazione civica ci
incoraggia nella nostra azione di volontariato. Un fronte comune
di sensibilizzazione portato avanti con i docenti e con il Dap
che ha fatto partecipare anche le scuole carcerarie e che si
concluderà il 30 aprile".
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