EDUARDO GALEANO, 'IL LIBRO DEGLI ABBRACCI' (SPERLING & KUPFER, PP. 268 - 10,50). ''Ricordare: dal latino re-cordis, ripassare dalle parti del cuore''. Questa definizione esplicativa, posta a epigrafe dell'ultimo libro tradotto in italiano (da Gianfranco Ciabatti) dello scrittore uruguayano Eduardo Galeano spiega subito a cosa puntino gli oltre 200 miniracconti, notazioni, ricordi raccolti in questo volume che appare come un seguito di 'Le labbra del tempo'. Ognuno e' un tentativo di abbracciare la vita con sentimento, partecipando alle sue meraviglie e ai suoi orrori, sentendosi uomo tra gli uomini, senza mai perdere la fiducia, ovvero quella speranza di cui ''i cattivi poeti del realismo socialista dicevano che era d'acciaio, mentre io non lo penso affatto. Non e' d'acciaio, e' di fragile cristallo e quindi bisogna curarla e proteggerla'', come ha spiegato di recente, in occasione della vittoria della sinistra per il governo del suo paese. A tanti anni dall'uscita del libro che gli dette fama internazionale, 'Le vene aperte dell'America latina', Galeano, vissuto in esilio negli anni '70 e poi tornato in patria, caduta la dittatura militare, spiega che ''questo continente oggi e' la parte del mondo in cui la societa' e piu' ingiusta, non la piu' povera, ma quella in chi le ricchezze sono peggio distribuite. Ma si sta cercando di reagire e i vari paesi forse riusciranno ad arrivare a un'unita' delle voci. Tra l'altro hanno tutti davanti la sfida della democrazia, ovvero del vincere quella caduta di prestigio dell'istituzione democratica che si trova nelle nuove generazioni, cui bisogna restituire la fede e un respiro politico''. Nelle pagine di questo ultimo libro Galeano torna a narrare il mondo come una celebrazione e, assieme, una denunzia. Ogni piccola storia e' stata scritta e riscritta decine di volte per renderla essenziale e emblematica, per lasciare solo ''le parole che meritano di esistere al posto del silenzio'', per dar loro quella sostanza forte capace di arrivare subito al lettore. Sono storie d'amore, sono scritte copiate dai muri, sono citazioni e riflessioni, parlano indifferentemente di questioni d'arte, di burocrazia, di miti o sentimenti. Talvolta il limare e' stato tale che restano solo uno o due frasi, come versi di una brevissima poesia. E' il caso delle versioni di 'La notte': ''Dormo sul guanciale di una donna. Dormo sul guanciale di un abisso'', oppure ''Non riesco a dormire. C'e' una donna che mi sta di traverso alle palpebre. Vorrei mandarla via, ma non posso. Ho una donna qui, nella gola''. Lo stesso vale per le sei storie intitolate 'La cultura del terrore', dalla famiglia alla dittatura, e si potrebbero finire per citare tutto il libro. Allora limitiamoci a due esempi: 'Piangere' su alcuni Idios che piangono la nonna che non e' ancora morta, perche' vogliono sappia quanto l'amano, e dalla prima 'Celebrazione della voce umana', scelta non a caso anche per la quarta di copertina, ''Quando e' sincera, quando nasce dal bisogno di dire la voce umana non c'e' chi possa fermarla. Se le tolgono la bocca, lei parla con le mani, con gli occhi, con i pori, o quel che sia. Perche' tutti, ma proprio tutti, abbiamo qualcosa da dire agli altri, qualcosa che merita di essere celebrato dagli altri, o perdonato''. 22-4-2005
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