Il 13 novembre ha ripensato a quella strage avvenuta, trent'anni fa, a poche decine di metri da lui. "E' una cosa incredibile, a Parigi quelle persone stavano sedute al bar e un attimo dopo una sventagliata di mitra le ha uccise. Come il 27 dicembre dell'85 a Fiumicino". Elio Vergati aveva 46 anni e faceva il fotografo. Lo fa ancora oggi che ne ha 76 e vanta un secondo posto al premio Pulitzer e al World Press Photo. Sempre nella mitica agenzia Telenews che da decenni racconta quello che accade negli aeroporti romani di Fiumicino e Ciampino.
"Ero nel nostro ufficio e sentimmo dei botti - racconta -. Si capì subito che erano bombe a mano e la gente scappava da tutte le parti. Ho preso la macchina fotografica e ho fatto di corsa i 100, 150 metri di distanza dai check-in dell'El Al e della Twa. Una sparatoria tremenda, ma sarà durata un minuto, non di più".
E' la strage di Fiumicino: 4 terroristi palestinesi tirano bombe e sparano sulla gente in fila all'imbarco o al bancone del bar, prima che tre di loro vengano uccisi dalla sicurezza della compagnia israeliana.
"Sono intervenuti subito - ricorda Vergati -, il quarto terrorista è stato catturato da un poliziotto italiano e ha rischiato il linciaggio". Una foto del reporter mostra il diciottenne Khaled Ibrahim portato via da un agente. Una delle tante esclusive scattate quel giorno da Vergati.
"C'erano tanti feriti in terra, sangue, gente che chiedeva aiuto e si lamentava, una scena pazzesca - racconta -. Mentre scattavo le foto cercavo di rassicurarli, che i soccorsi sarebbero arrivati. Ma ti senti impotente. I primi feriti li hanno portati via con i carrelli dei bagagli. Ricordo una donna con il ginocchio aperto, poi ho saputo che è morta. Tra le vittime una ragazzina di 12 anni figlia di un giornalista americano".
"Gli israeliani erano preparati, come sempre, loro difendevano i loro voli - dice il fotografo - due agenti italiani sono arrivati poco dopo. Dell'allarme lanciato dai servizi italiani si è saputo in seguito".
Secondo alcune fonti gli addetti alla sicurezza dell'El Al - in realtà corpi speciali - avrebbero finito i tre palestinesi con un colpo alla nuca e poi sarebbero subito partiti per Israele. "NOn lo so. Può darsi. Non li abbiamo più visti", dice Vergati che ricorda però che un palestinese aveva un foro sulla nuca e un rivolo di sangue.
"La cosa più incredibile è che dopo la strage hanno chiuso l'aeroporto una mezz'ora massimo, poi è stata messa una paratia per non far vedere quel settore e hanno ripreso a fare biglietti - dice Vergati -. E la gente si lamentava che perdeva l'aereo".
"Eravamo così vicini alla sparatoria, abbiamo trovato dei proiettili nel vetro dell'ufficio - ricorda -. La paura non la senti quando fai le foto, ti viene dopo, ti tremano le gambe e pensi 'ma che so' matto?'".
Quella del resto era la seconda strage a cui Vergati assisteva in diretta al Leonardo Da Vinci. Il 17 dicembre 1973, 12 anni prima, un commando arabo gettò bombe incendiarie dentro un aereo della Pan Am fermo sulla pista: 30 morti bruciati. "Anche allora ero in ufficio e sentimmo le esplosioni - racconta -. Corsi dietro un agente con il mitra e mi piazzai dietro una colonna a fotografare. I terroristi erano a 40 metri e le pallottole fischiavano vicine".
Vergati scattò la foto di un finanziere morto sulla pista "che arrivò seconda al Premio Pulitzer".
Oggi Elio Vergati è ancora lì, lavora all'aeroporto di Fiumicino che nei decenni è molto cambiato, ma non è cambiato il modo in cui lui lavora. Con il suo compagno di lavoro di sempre Nevio Mazzocco, insieme allo storico direttore Lamberto Magnoni e a un collaudato gruppo di giornalisti sono conosciuti da tutti e conoscono tutti. Rimangono un punto di riferimento fondamentale per Fiumicino. Oggi come allora.
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