Siria, Iraq, Yemen. Sono almeno tre i conflitti in corso nella regione mediorientale che vedono contrapposti l'Iran e l'Arabia Saudita: il primo bastione dell'Islam sciita, il secondo di quello sunnita. Ma le tensioni confessionali esplose alla luce del sole con l'esecuzione a Riad dello Sheikh sciita Nimr al Nimr nascondono un'antica guerra tra arabi e persiani per la supremazia nella regione.
"Il nostro popolo non deve trasformare la lotta in una questione settaria", ha detto oggi Seyed Hassan Nasrallah, capo del movimento sciita libanese Hezbollah, alleato di Teheran. Da parte sua, ieri, il portavoce del ministero della Giustizia saudita, Mansur al Qufari, ha negato ogni discriminazione confessionale nel processo che ha portato alla condanna di Al Nimr.
Tuttavia anche le divisioni religiose fanno parte di un'ostilità che affonda le radici in tempi lontani. L'ambivalenza è il sentimento dominante per ogni iraniano, anche il musulmano più convinto, nei confronti delle circostanze che portarono alla diffusione della religione di Maometto in Persia. La fede si contrappone al risentimento verso gli arabi invasori che nel VII secolo dopo Cristo diffusero il nuovo credo con le armi. La fede portata dagli invasori e l'orgoglio nazionale ispirato agli antichi fasti imperiali trovano una sintesi ideale nello Sciismo, la corrente minoritaria dell'Islam diventata religione ufficiale in Iran dal XVI secolo con l'impero dei Safavidi, in contrapposizione al Sunnismo dei Paesi arabi e degli Ottomani turchi. Proprio Arabia Saudita e Turchia sono oggi i primi nemici dell'Iran in Siria, dove Teheran sostiene le forze lealiste con un nutrito schieramento di consiglieri militari appartenenti ai Guardiani della rivoluzione e spende miliardi di dollari all'anno per sostenere il governo del presidente Bashar al Assad. Mentre Riad e Ankara appoggiano gruppi ribelli fondamentalisti.
Dopo l'ascesa al trono del re Salman in sostituzione di Abdullah, nel gennaio scorso, Riad ha inaugurato una politica più aggressiva, dando il via a partire da marzo anche ad una campagna militare in Yemen contro i ribelli sciiti Houthi alleati dell'Iran. Il 'nuovo corso' saudita sembra una risposta alla politica dell'amministrazione americana del presidente Barack Obama, che dopo un accordo sul programma nucleare iraniano firmato nel luglio scorso, sta lavorando ad un riavvicinamento a Teheran contro il jihadismo sunnita, in particolare quello dell'Isis.
Ma lo scontro parte dall'Iraq, il Paese che nel 1980, ai tempi del regime di Saddam Hussein, attaccò l'Iran dell'ayatollah Khomeini in quella che molti a Teheran videro come una seconda invasione araba dopo quella del VII secolo.
Proprio il ricompattarsi del Paese contro questa minaccia consentì al nuovo regime, insediatosi solo da un anno e mezzo, di consolidare la sua presa sul potere. E a partire dal 2003, grazie all'attacco anglo-americano che abbatté il regime di Saddam, l'Iran ha guadagnato una forte influenza nel Paese vicino, grazie alla vicinanza con i nuovi governi sciiti a Baghdad e l'istituzione di forze paramilitari sciite coordinate da Teheran. In questo modo, grazie a George W. Bush, la Repubblica islamica è stata in grado di realizzare un sogno secolare, quello di stabilire una continuità geografica tra forze sciite sue alleate dal proprio territorio fino al Libano, attraverso l'Iraq e la Siria. Uno scenario che non può che inquietare lo schieramento a guida saudita e nel quale sono nate le guerre che stanno sconvolgendo la regione.