"Vogliamo cooperare con la Spagna, non vogliamo un conflitto permanente, ma vogliamo negoziare in base ai principi del rispetto reciproco e dell'uguaglianza. Non aspetteremo in eterno: ad un certo momento se non c'è nessuno con cui parlare, dovremo far qualcosa, dovremo decidere".
Lo spiega in un'intervista all'ANSA il 'ministro degli esteri' della Catalogna Raul Romeva I Rueda, in queste ore a Roma nell'ambito di un giro informale delle capitali europee per illustrare la posizione, sul futuro della regione autonoma, della Generalitat di Catalogna, il governo presieduto dall' indipendentista Carles Puidgemont. Romeva, 44 anni, è un ex eurodeputato verde, ex vice di Daniel Cohn Bendit a Strasburgo, lo storico leader del maggio 68 parigino, un europeista convinto. Anche il conseller d'Afers Exteriors della Generalitat si presenta come un europeista convinto, e definisce la Brexit, con le possibili conseguenze per l'Ue ma anche per il futuro di Scozia, Irlanda (e Catalogna) "una delle sfide più importanti cui è confrontata l'Ue", che in passato ce l'ha sempre fatta, ha sempre superato le prove anche più difficili. "Bisogna recuperare l'idea dell'Europa dei padri fondatori come Altiero Spinelli e Jean Monnet", pur riconoscendo che nel frattempo "è cresciuta una visione critica dell'Europa", che ha sempre più adepti. Ma oggi occorre superare "la visione statica degli Stati" e "trasformare questa sfida in opportunità".
Numero uno della lista 'Junts pel Si' ('Uniti per il sì') che ha conquistato la maggioranza del Parlament alle ultime elezioni catalane, Romeva, un marxista 'verde', è stato soprannominato da alcuni commentatori spagnoli 'El Varoufakis espanol' (o catalano). Ma rispetto al bollente ex ministro delle finanze del primo governo di Alexis Tsipras, il ministro catalano appare molto più pragmatico e pronto al dialogo. Più che altro sembra aspettare un gesto da Madrid, con concessioni sull'autonomia, o la possibilità di indire un referendum sull'autodeterminazione, anche solo consultivo.
Per il consigliere della Generalitat, quella catalana è una situazione "specifica, singolare", per il fatto che "l'80% dei catalani vuole il referendum, perché il movimento è pacifico - mai un incidente mai una violenza, caso forse unico in Europa - e perché c'è la volontà di evitare il salto nel vuoto, passando da una situazione legale ad un'altra".
Il vero problema, secondo Romeva, è l'assoluta mancanza di dialogo con il governo di Madrid, mentre "c'è la necessità di parlare, di dialogare e avviare un negoziato con lo Stato spagnolo", che fino ad oggi ha fatto orecchie da mercante.
Ma più autonomia non basterebbe, chiediamo. "Le proposte che ci arrivano tendono a ridurre l'autonomia - è la sua risposta -.
Già ci abbiamo provato, ma non è venuta fuori nessuna proposta.
La gente vuole decidere il proprio futuro, e non aspetteremo in eterno".
Ma la Costituzione spagnola non riconosce la secessione, e poi bisognerà rinegoziare l'adesione all'Ue, rilanciamo. "La Costituzione non impedisce il voto della Catalogna, e c'è comunque un dibattito giuridico in corso - spiega -. L'adesione all'Ue: giuridicamente nulla lo impedisce. L'ideale è la Scozia, ma non abbiamo un David Cameron in Spagna", dove sia il Partito Popular di Mariano Rajoy sia il Psoe di Pedro Sanchez all'opposizione, sono fermamente contrari alla secessione. Ora che probabilmente la Spagna tornerà alle urne a giugno, qualche sorpresa non è da escludere.
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