Da esercito in marcia trionfale a forza in lenta, ma apparentemente inesorabile ritirata territoriale: l'Isis in poco più di due anni ha perso circa metà terzo del territorio che aveva in Iraq e in Siria sotto l'azione concentrica dei raid russi e americani, delle truppe irachene e del regime siriano e dei sui alleati iraniani e Hezbollah, dei turchi, dei miliziani curdi e dei ribelli "laici". Sembra agli sgoccioli anche in Libia, dove cercava di installarsi di fronte ai primi rovesci mediorientali, oltre ad aver perso molte delle sue fonti di finanziamento, e probabilmente anche del morale.
Nelle ultime ore ha perso una cittadina siriana dall'elevato valore simbolico e profetico come DABIQ, vicino al confine turco. Di recente (13 agosto) aveva perso MAMBIJ - una vittoria accompagnata da un'esplosione di gioia liberatoria della popolazione, che poteva fra l'altro riprendere a fumare - proprio sul confine, che ha privato lo Stato islamico di importanti vie di rifornimenti dal territorio turco. La scorsa primavera i caccia russi bersagliarono le rotte delle autocisterne verso la Turchia, 'bruciando' di fatto il contrabbando di petrolio.
Prima di Mambij l'Isis aveva perso, una dopo l'altra, KOBANE, nel nord della Siria, conquistata dai miliziani curdi il 26 gennaio 2015; TIKRIT, città sunnita irachena dove nacque Saddam Hussein, prima importante conquista dell'esercito iracheno dopo la rotta del 2014 (primo aprile 2015); la città storica di PALMIRA, caduta all'avanzata dell'esercito di Bashar al Assad appoggiato dai raid di Mosca; AL-QARYATAYN, dove un tempo viveva una comunità cristiana, ceduta all'esercito siriano lo scorso aprile, e la grande città irachena di FALLUJA, caduta lo scorso giugno. E da molte settimane l'Isis combatte ferocemente arroccato in alcuni quartieri di Sirte, l'unica città della Libia che controllava completamente, assediata dalle milizie.