(di Ugo Caltagirone)
Siamo di fronte a un "ambientalismo fuori controllo". Parola di Donald Trump, che dichiara ufficialmente guerra a norme e regole che a suo dire frenano lo sviluppo dell'industria americana e la creazione di posti di lavoro. Pronto a smantellare pezzo per pezzo quell'agenda 'verde' attuata dall'amministrazione Obama e fiore all'occhiello dell'eredità dell'ormai ex presidente.
Intanto, al suo quarto giorno nello Studio Ovale, il tycoon assesta i suoi primi colpi: un primo decreto per rilanciare la realizzazione degli oleodotti della discordia - il Keystone XL e il Dakota Access - e un secondo per accelerare le autorizzazioni per i cantieri delle grandi infrastrutture, soprattutto sul fronte dei nulla osta ambientali.
Ricevendo alla Casa Bianca i big dell'auto 'made in Usa' (attorno al tavolo della Roosevelt Room Sergio Marchionne di Fiat Chrysler, Mary Barra di General Motors e Mark Fields di Ford) il presidente americano usa il bastone e la carota. Da un lato rilanciando il monito a chiunque abbia intenzione di sviluppare le proprie attività all'estero, minacciando 'ritorsioni' sul fronte fiscale e dazi a chi non si adeguerà al credo dell' 'America First'. Dall'altro promettendo di creare un clima più favorevole alle imprese che invece decideranno di investire e creare nuova occupazione negli Stati Uniti. La promessa che il presidente fa all'intera industria americana - oltre ad agevolazioni fiscali senza precedenti - è quella di una marcata 'deregulation', velocizzando e accorciando le procedure attraverso cui un'impresa riceve i permessi per realizzare i propri progetti. E' qui che Trump sottolinea come le norme ambientali siano oramai diventate un peso molto gravoso, senza che ve ne sia la necessità. Una zavorra che va eliminata al più presto. Nel mirino non solo le stringenti norme dell'Epa - l'agenzia ambientale federale ai cui dipendenti il tycoon oggi ha vietato di fornire aggiornamenti sui social media o ai media - ma anche leggi come il 'Clean Air Act' che taglia le emissioni delle industrie e il 'Climate Action Plan' per la lotta ai cambiamenti climatici. La deregolamentazione promessa da Trump non dispiace alle case automobilistiche, alle prese con norme anti-inquinamento e standard per le emissioni giudicati spesso troppo onerosi. E la cui violazione ha portato negli Usa a più di un'inchiesta: da quella sulle emissioni 'truccate' della Volkswagen a quella più recente che vede coinvolta Fiat Chrysler. "Ho apprezzato l'attenzione del presidente nel cercare di rendere gli Stati Uniti un gran posto per fare business. Non vediamo l'ora di lavorare con Trump e i membri del Congresso per rafforzare l'industria manifatturiera americana", ha commentato al termine dell'incontro Marchionne, ricordando come Fca (che vola a Piazza Affari sfondando la soglia dei 10 euro ad azione) si sia impegnata ad investimenti per più di 9,6 miliardi di dollari negli Stati Uniti dal 2009, creando 25.000 nuovi posti di lavoro. Intanto anche i movimenti per la difesa dell'ambiente sono già sul piede di guerra, di fronte all'attesa offensiva del neo presidente. A bruciare soprattutto la volontà di Trump - ora messa nero su bianco in un ordine esecutivo - di sbloccare le opere per l'oleodotto Keystone XL, che collegherà Canada e Usa, e per il Dakota Access, fermato da Obama che si schierò dalla parte delle proteste dei nativi americani. "Andremo avanti, si faranno, anche se li rivedremo", annuncia il neo presidente. Con ancora una promessa: "Costruiremo gli oleodotti Usa con acciaio americano".
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