Il cadavere del piccolo Luca Piagentini venne trovato all'alba. Da ore, in quei metri i vigili del fuoco stavano combattendo con le fiamme, stavano scavando fra le macerie. Ma quel corpicino carbonizzato nell'auto nessuno lo aveva visto. Se ne accorse un soccorritore, per caso. Urlò, quasi svenne. Luca aveva cinque anni: i genitori, che abitavano davanti alla stazione, lo avevano portato là sperando di salvarlo, ma fu uno delle 32 vittime della strage alla stazione di Viareggio per la quale oggi il tribunale di Lucca ha emesso la sua sentenza con 23 condanne e 10 assoluzioni.
Il 29 giugno 2009, alle 23.48, un convoglio con 14 cisterne cariche di gpl deragliò appena entrato nello scalo ferroviario: il primo carro e altri quattro si rovesciarono. In una cisterna si aprì uno squarcio di 40 centimetri. Il gpl fuoriuscì: tre minuti dopo gli scoppi. Le abitazioni di due strade, via Ponchielli e via Porta Pietrasanta, vennero investite dal fuoco.
Trentadue le vittime. Della famiglia Piagentini sono sopravvissuti Leonardo, 8 anni, ed il padre Marco, che, per mesi, ha combattuto con la morte: aveva ustioni sul 95% del corpo. Non ci sono più mamma Stefania, 40 anni, e l'altro figlio, Lorenzo, 2 anni, che morì due giorni dopo al pediatrico Meyer di Firenze. La conta delle vittime si è fermata a quota 32 solo sei mesi dopo, nel dicembre 2009, quando all'ospedale di Pisa morì Elisabeth Guadalupe Silva, 36 anni.
A impedire che il disastro avesse conseguenze ancor più terrificanti furono due ferrovieri in servizio alla stazione: bloccarono l'arrivo di un Intercity, altrimenti sarebbe entrato nello scalo mentre il fuoco devastava persone e case. Mentre il lavoro dei vigili del fuoco scongiurò il moltiplicarsi delle esplosioni: per ore spararono acqua sulle cisterne cariche di gas rimaste sui binari. Il rischio era che il calore innescasse altri scoppi.
Allarmi, sirene, colonne di camion, soccorritori, ambulanze, carabinieri, poliziotti, volontari, protezione civile. Case in fiamme, lingue di fuoco dai tombini, fumo, grida, pianti. "Mi affacciai alla finestra - raccontò un abitante della zona, Mauro, il giorno dell'anniversario - e vidi delle torce umane che si muovevano. Non riuscivo a capire. Mia moglie mi tirò per i capelli dicendomi di scappare. Ricordo noi sull'auto che ci allontanavamo. Dietro le fiamme e l'inferno. Sopra un cielo che di colpo si era fatto arancione".
Roberto Fochesato era uno dei macchinisti alla guida del treno deragliato. Per poter parlare di quella notte ha dovuto aspettare molto. Alla vigilia dell'anniversario, però, si fece coraggio: "Quella scena l'ho sempre davanti agli occhi - raccontò - Io e il mio collega che iniziamo a correre mentre una coltre di gpl avanza a due metri da terra. Trovammo rifugio nella sede della Croce verde, non ricordo come ma ce la facemmo.
Poi l'esplosione. Ho vissuto l'inferno. I vetri che vanno in frantumi, un signore accanto a me con i capelli bruciati...''.
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