Qualche mese fa, diversamente dal solito, Angela Merkel accettò di rispondere a una domanda sulla memoria del suo cancellierato: "A me sta a cuore l'Europa, vorrei essere ricordata per il mio impegno su questo". Le sue parole passarono quasi inosservate in Germania, ma era un indizio della decisione annunciata a sorpresa oggi: il ritiro dalla politica, dopo questa legislatura.
Il suo quarto mandato sarà anche l'ultimo, come fu per Helmut Kohl e Konrad Adenauer. Diversamente da questi, però, se la cancelliera riuscisse davvero a portarlo a termine, senza cadere negli scacchi degli avversari, potrebbe avere il tempo di lavorare alla successione, e il privilegio di autodeterminarsi nell'uscita.
Lasciare i suoi incarichi - è da 18 anni presidente della Cdu e da 13 al timone del Paese - "con la dignità con cui li ha svolti", come ha auspicato oggi esplicitamente. Adenauer fu costretto alle dimissioni all'inizio del quarto governo, nel 1963, Kohl fu battuto alle elezioni da Gerhard Schroeder, era il 1998. L'ambizione di Merkel sarebbe, invece, chiudere il percorso in modo indolore, con la scadenza naturale del 2021.
È evidente infatti che la cancelliera oggi paga il conto delle sconfitte in Baviera e in Assia e rinuncia alla candidatura alla presidenza del partito a dicembre - un parziale passo indietro - ma non si fa mandare a casa. E annuncia la resistenza, pur aprendo "una strada verso il futuro" nella Cdu, con l'intenzione di portare avanti fino in fondo il suo compito. C'è un che di 'gattopardesco' nel passo di stamani. Promette il cambiamento - scontato peraltro, perché nessuno ha mai immaginato una quinta candidatura, dopo la lunga gestazione della quarta - chiedendo di non far fallire il suo esecutivo.
"Una volta ho detto, non sono nata cancelliera. Non l'ho mai scordato", ha ripetuto oggi la figlia del pastore protestante che si trasferì nell'est della Germania oltre la cortina di ferro diventando una 'ossi' e che oggi ha 64 anni. E a chi le ha chiesto cosa farà dopo, ha dedicato una vena d'ironia: "Non mi preoccupa certo il pensiero che non mi venga nulla in mente". Qualsiasi cosa si voglia pensare di lei, la scienziata laureata in fisica arrivata alla politica tardi da una Ddr che Kohl capì di dover coinvolgere nelle sorti della Bundesrepublik, la donna che ama riposarsi col marito, accademico di fama, fra i laghi solitari del Brandeburgo, non è il classico politico attaccato alla poltrona. Il suo profilo personale è più complesso, più ricco di così. Per la politica ritenuta a lungo una calcolatrice fredda, bravissima nella tattica piratesca con gli altri partiti e priva di visione, poi maturata nella leader che ha dovuto affrontare la crisi dell'euro e quella dei migranti, c'è certamente in gioco il rapporto con la memoria.
Il bilancio della sua opera si rileverà complesso: sarà ricordata per il coraggio della svolta energetica, con l'addio al nucleare nel 2011; per la leadership austera e inflessibile, segnata dal suo ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, che mise la Grecia nell'angolo, costringendola a durissime riforme; e per la generosità con cui aprì le porte del paese nel 2015 a un milione di migranti, attirandosi l'ostilità dell'est. Nel suo ritratto per i posteri ci saranno insieme la candidatura al Nobel per la pace per la solidarietà ai siriani, anche nel tentativo di riscattare i tedeschi dall'inestinguibile eredità dell'olocausto, e il baffetto hitleriano con cui compariva sui manifesti delle proteste di piazza ad Atene. Ma nell'Europa minacciata dalla Brexit e alle prese con la sfida dei populisti, andare avanti e reggere al comando senza disorientare la Germania significa per la Frau di ferro per cui tifava Obama anche un gesto di responsabilità. Non solo nei confronti dei tedeschi.