"Perdono" per le vittime degli attentati negli anni '70, nessun pentimento, un pò di nostalgia per l'Italia: sono gli aspetti principali di quello che Cesare Battisti disse da uomo libero in un'intervista all'ANSA nel settembre del 2011, tre mesi dopo l'uscita dal carcere di Brasilia. Nel corso di una rievocazione del passato con qualche cenno ai suoi progetti per il futuro, l'ex militante dei Proletari armati per il comunismo (Pac) ammise le proprie "responsabilità politiche", precisando però di escludere del tutto quelle "dirette". Nessun pentimento: appena venne pronunciata questa parola, Battisti tagliò corto e rispose con enfasi: "E' una parola che non mi piace, è una ipocrisia, è sinonimo di delazione, è legata alla religione".
L'intervista fu fatta a Cananeia, sul litorale paulista, nella casa di un vecchio amico che lo ospitava tra poster del "Che", Marx e Lenin. Battisti sottolineò di aver "voltato pagina da tempo" fin dal periodo della fuga in Messico, rispetto ai "due anni" in cui militò nei Pac, assicurando di essere pronto ad "una riconciliazione". Non mancò una critica alla lotta armata. "Alla luce di oggi, illudersi che si potessero cambiare le cose in Italia così è stato un errore", ammise, difendendo d'altro lato le sue fughe all'estero, dalla Francia, al Messico, al Brasile: altrimenti, disse, "avrei rischiato di pagare con l'ergastolo in Italia delitti che non ho mai commesso". "Mi porto dentro l'Italia del passato, quella che ancora sognava, un paese che lottava per la giustizia", aggiunse ricordando che era "stato trattato come il mostro da sbattere in prima pagina".
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