Sono 23 gli indagati nell'inchiesta sul disastro dell'Hotel Rigopiano: esattamente un anno fa, il 18 gennaio 2017, una valanga travolse il resort nel comune di Farindola (Pescara). Tra le accuse più gravi, contenute nelle migliaia di pagine che compongono il fascicolo, quelle di omicidio colposo plurimo e lesioni plurime colpose. Il procuratore della Repubblica di Pescara, Massimiliano Serpi, titolare dell'inchiesta insieme al pm Andrea Papalia, si era prefissato l'obiettivo di chiudere le indagini entro un anno dalla tragedia. Quasi certamente non sarà possibile, ma tutti gli indagati sono stati ascoltati prima di Natale e dunque si slitterà solo di qualche settimana.
Pochi giorni fa è arrivata la notizia di due segnalazioni chieste dai carabinieri Forestali alla Procura per dirigenti pubblici: il responsabile della sala operativa del 118 di Pescara Vincenzino Lupi e della funzionaria della Prefettura Daniela Acquaviva. Agli atti c'è uno stralcio di una telefonata acquisita in quelle concitate ore nella quale la funzionaria dice all'operatore del 112: "Ma l'Hotel Rigopiano è stato fatto stamattina".
Quattro i filoni principali dell'inchiesta.
Il primo, sui ritardi nell'attivazione della macchina dei soccorsi, chiama in causa l'ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, il dirigente dell'area Protezione civile Ida de Cesaris e il capo di gabinetto Leonardo Bianco. Secondo l'accusa, soltanto a partire dalle ore 10 del 18 gennaio venne effettivamente attivato il Centro coordinamento soccorsi, nonostante i pericoli e le intemperie. Versione contestata dalla difesa dell'ex prefetto secondo la quale l'attivazione avvenne già il 16 gennaio.
Il secondo filone dell'inchiesta, sulla gestione dell'emergenza, vede indagati Antonio Di Marco, presidente della Provincia di Pescara; Paolo D'Incecco, ex dirigente del settore Viabilità e referente di Protezione civile; Mauro Di Blasio, responsabile degli stessi servizi; Giulio Honorati, comandante della Polizia provinciale di Pescara; Tino Chiappino, tecnico reperibile secondo il Piano di reperibilità provinciale. Le contestazioni sono: la mancata attivazione della sala operativa di Protezione civile, la non effettuazione della ricognizione dei mezzi spazzaneve e la mancata chiusura al traffico del tratto di strada provinciale che conduce a Rigopiano.
Il terzo filone dell'inchiesta riguarda la realizzazione del resort e vede coinvolti il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, gli ex sindaci Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico, e i tecnici Luciano Sbaraglia ed Enrico Colangeli, in relazione alla mancata adozione del nuovo piano regolatore generale del Comune che, se fosse stato approvato - è la tesi dell'accusa - avrebbe impedito l'edificazione del nuovo hotel Rigopiano e quindi il verificarsi della tragedia. In riferimento al permesso rilasciato nel 2006, per la ristrutturazione del complesso alberghiero, quando l'area era soggetta a vincolo idrogeologico, sono invece indagati Marco Paolo Del Rosso, l' imprenditore che chiese l'autorizzazione, Antonio Sorgi, dirigente della Regione Abruzzo e il tecnico comunale Enrico Colangeli. Secondo la Procura i tre, in assenza di autorizzazione, permisero l'edificazione del nuovo resort con annesso centro benessere, eludendo il pericolo di valanghe e tenendo aperta la struttura, anche alle autovetture e anche in pieno inverno, prescindendo dall'intensità delle nevicate.
L'ultimo filone riguarda la mancata realizzazione della Carta per il pericolo delle valanghe e vede indagati i dirigenti della Regione Abruzzo Pierluigi Caputi, Carlo Giovani, Vittorio Di Biase, Emidio Primavera e Sabatino Belmaggio. Su tutto la relazione dei periti della Procura secondo i quali per salvare le vite umane era necessario evacuare l'hotel due giorni prima della tragedia.
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