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Irpinia, Wojtyla tra le macerie

>ANSA-LA-STORIA/40 anni sisma Irpinia

Irpinia, Wojtyla tra le macerie

ROMA, 15 novembre 2020, 14:22

Enzo Quaratino

ANSACheck

Papa Wojtyla - RIPRODUZIONE RISERVATA

Papa Wojtyla - RIPRODUZIONE RISERVATA
Papa Wojtyla - RIPRODUZIONE RISERVATA

"Arriva il Papa. Arriva il Papa". La voce si diffuse rapidamente, ma Balvano, con le sue ferite ancora troppo vive, sembrava insensibile a quella visita. Er il 25 novembre 1980: due sere prima, alle 19.34 del 23 novembre, la furia del terremoto abbattutasi sul paese aveva fatto 77 morti, messi in fila nel cortile dell'asilo comunale, in attesa di sepoltura quando sarebbe stato possibile.

    Il soffitto della Chiesa, venuto giù mentre si celebrava la messa serale, aveva ucciso una sessantina di bambini.
    Tra le macerie di un paese quasi raso al suolo, Pierangelo Piegari, giornalista della Rai (morto il 23 settembre 2015), attendeva l'arrivo di Giovanni Paolo II, pellegrino tra i superstiti per portare una parola di conforto.

    Quel 25 novembre - raccontò Piegari all'ANSA qualche tempo prima di morire - il giornalista aveva già pronta una domanda: "Santità, tanto dolore cancella la fede?". Ma quando mai avrebbe potuto porre quell'interrogativo al Papa...
    Una sirena annunciò l'arrivo del corteo, non c'era cerimoniale, si fece subito una gran confusione e Wojtyla restò imprigionato nella sua auto proprio davanti alla troupe televisiva. "Approfittai del trambusto - raccontò Piegari - e feci cenno al Papa di tirare giù il finestrino. Il vetro si abbassò lentamente, mi fu regalato un sorriso, ebbi un brivido nell'anima e, allungando il microfono, chiesi: 'Santità, tra tanti lutti, tra tanta sofferenza, la gente non prega più, perché?'".

    Un attimo interminabile di silenzio e poi la risposta: "Non è vero che non pregano più - disse Giovanni Paolo II - questa loro grande sofferenza è preghiera, qui stanno pregando con la sofferenza. A volte, quando il dolore è troppo forte, la gente perde il senso della parole, bisogna capirla e darle il tempo che lo ritrovi".

    Intorno alla macchina era tornata un po' di calma e un ufficiale dei carabinieri aprì la portiera e portò via il Papa al giornalista. "Non ci credevo, il Papa, in strada, aveva risposto ad una mia domanda. Avevo intervistato il Papa..", realizzò Piegari.
    "Non mollammo", ricordò Piegari, e la troupe percorse un tratto di strada, tra le macerie, accanto al Papa, profondamente turbato dalle scene apocalittiche che aveva davanti agli occhi. Nella piazza di Balvano un tavolino traballante fu il pulpito.

    "Il Papa - raccontò Piegari - mi chiese la mano per aiutarlo a salire. Mi regalò un altro sorriso. In quegli attimi si era stabilito un rapporto solidale di affetto e simpatia". Da quel tavolino Giovanni Paolo II impartì la benedizione. Poi disse alcune parole e negli occhi della gente tornarono ancora le lacrime, quelle poche che erano rimaste. "Ad un tratto - ricordò il giornalista - il Papa, guardandomi, ritornò su quel breve dialogo al microfono: 'Qualcuno mi ha detto che dopo tanto dolore non pregate più. E finì il suo discorso su come la sofferenza è preghiera. Scese dal tavolino del bar tra i superstiti, alzò gli occhi verso il castello distrutto, abbracciò tanta gente ed andò via con il sorriso ed il mantello bianco sporco di polvere". 

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

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