"Dopo giorni e giorni su quella nave stavo impazzendo. Avevo la sensazione che il mio corpo ed i miei sogni si stavano sgretolando. Sono grato per tutta l'assistenza che ho ricevuto a bordo, ma non potevo più supportare quella situazione". Così Youssuf, il migrante siriano che ieri - insieme ad altri due naufraghi - si è tuffato dalla Geo Barents ed è stato portato sul molo del porto di Catania. Da questa mattina, informa Medici senza frontiere, l'uomo sta rifiutando cibo ed acqua.
"Ho lasciato la Siria occidentale - spiega Youssuf - per dare una vita sicura alla mia famiglia. Ho lasciato lì quattro figlie, sperando che mi possano raggiungere presto in un posto sicuro qui in Europa. La più piccola ha solo 6 anni. Tutte hanno visto bombe cadere sulla nostra città in questi anni ed ora non possono andare a scuola a causa della mancanza di sicurezza che persiste nell'area. Dappertutto ci sono gruppi armati che sequestrano persone per chiedere un riscatto, la situazione è fuori controllo ed io temo per le loro vite ogni giorno. Voglio semplicemente - ha sottolineato - trovare un posto dove loro possano sentirsi libere dalla paura ed al sicuro. Quello è il mio sogno ed io non permetterò a nessuno di portarmelo via". La foto postata da Msf mostra Youssuf - insieme all'altro compagno, anche lui siriano, che ieri si è gettato in mare - seduto sulla banchina del porto, accanto alla Geo Barents.
Uno dei due siriani, che si sono gettati in mare dalla Geo Barents e poi sono stati soccorsi, ha 39 di febbre. "Sta ricevendo l'assistenza medica - dice Candida Lobes, operatrice di Msf parlando con i cronisti sul molo dieci del porto di Catania - I due sono sulla banchina, hanno trascorso la notte all'aperto anche se li abbiamo assistiti fornendo coperte". L'operatrice aggiunge che "Msf sta dando assistenza legale ai due per la richiesta di asilo politico" e alla domanda se saranno portati via risponde: "Non lo sappiamo ancora". All'operatrice, che ha parlato con i due migranti ieri raccogliendo la loro storia, uno dei due ha riferito che non manda i figli a scuola in Siria "per paura che la struttura venga bombardata".
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