"Fate sapere alla mia famiglia che sono vivo, che sono riuscito a salvarmi. Io ce l'ho fatta, mentre tanti altri miei compagni di viaggio sono annegati davanti ai miei occhi...". Siful, 33 anni, il più grande di tre fratelli, viene dal Bangladesh. E' uno dei 17 sopravvissuti nel naufragio avvenuto ieri davanti alle coste libiche. L'ennesima tragedia del mare "annunciata" da una segnalazione di Alarm Phone e che sta innescando nuove polemiche dopo la tragedia di Cutro. Siful è sbarcato questa sera a Pozzallo, dopo essere stato soccorso dal mercantile "Froland". Ha una frattura alla gamba destra che si è procurato nel tentativo di arrampicarsi sulla barca che si era ribaltata e per questo motivo è stato trasferito all'ospedale "Maggiore-Baglieri" di Modica. Trema ancora al ricordo e mantiene lo sguardo basso mentre continua a raccontare. Il dolore e l'orrore li affida alla carta, scrivendo di pugno il suo nome, disegnando le scene del naufragio e ricostruendo quanto è accaduto. "Eravamo in 47, tutti uomini, su una vecchia barca di 8 metri che non poteva ospitare tutti" dice trattenendo a stento le lacrime e confermando che all'appello mancano ancora trenta dispersi.
"Dopo qualche ora che ci siamo allontanati dalle coste libiche - prosegue - il mare era sempre più agitato. Alcuni volevano ritornare indietro. Eravamo stipati uno addosso all'altro, faceva molto freddo e le onde mi facevano venire la nausea. Il freddo era insopportabile. Quando i trafficanti ci hanno fatto salire avevano detto che a bordo ci sarebbero stati acqua e cibo, ma non era vero".
A un certo punto la barca si ribalta a causa della furia delle mare: "Tutti urlavano e chiedevano aiuto, io mi sono aggrappato al relitto con la forza della disperazione, ma molti non sapevamo nuotare e li ho visti scomparire tra le onde.
Cercavamo di incoraggiarci, qualcuno verrà a salvarci, abbiamo dato l'allarme per telefono. Poi è arrivata la nave".
Ma Siful rivela anche che il viaggio era stato pianificato da tempo: "Dal Bangladesh ho raggiunto la Libia in pochi giorni, al prezzo di mille dollari, raccolti in anni di lavoro e pagati al trafficante. Nel mio paese facevo il falegname per vivere, ma ho sempre sognato di arrivare in Italia. Adesso spero soltanto di potere riabbracciare la mia famiglia".