All’alba degli anni ’90, e quindi a cavallo tra i rimpianti (da molti, pare) anni ’80 che segnarono l’uscita da un periodo difficile e per qualcuno troppo cupo, e un’epoca nuova, dinamica e che non era ancora chiaro dove ci avrebbe portato, Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, cantava la rivoluzione come una gioia, un piacere, un divertimento, per di più rivolgendosi alla mamma: ‘che bello è quando c'è tanta gente / E la musica, la musica ci fa star bene / È una libidine e una rivoluzione’.
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Non c’è niente di più semplice e immediato di una canzone per farci capire lo spirito del tempo: era lontana, in questo modo di intendere ed esprimere la rivoluzione, l’ironia riflessiva di Giorgio Gaber all’inizio degli anni Settanta, nemico di astrazioni e intellettualismi esasperati, per il quale la rivoluzione era poter mangiare un’idea; o, poco dopo, l’urticante ribellione tutta politica degli Area, gruppo del progressive italiano dal respiro internazionale, in Gioia e rivoluzione, che cantava i sommovimenti di mezzo mondo, dal Portogallo alla Grecia al Vietnam.
Declinazioni che testimoniano la vitalità di una parola, cristallizzata per molto tempo nello spazio della politica, che ha in realtà conquistato in tempi relativamente recenti, ma nata ben prima ed altrove e che oggi può essere usata per ricordare l’importanza di una campione dello sport scomparso (la rivoluzione di Fosbury, l’atleta che inventò il salto in alto dorsale) o la sorprendente vittoria agli Oscar di un film inatteso (Everything Everywhere All at Once), definito ‘folle’ da gran parte degli osservatori e per il quale si è parlato di rivoluzione a Hollywood.
Rivoluzione deriva dal tardo latino revolutio, la cui origine è il verbo revolvere che significa volgere, ruotare, girare. Per questo in alcune lingue come lo spagnolo quella radice ha dato vita a significati come tornare (volver), anche da molto lontano come nel film di Pedro Almodovar intitolato appunto ‘Volver’ e in cui a tornare era addirittura un morto, a metà tra realtà grottesca e fantasia, com’ è nello stile tipico del regista spagnolo.
Questo ritorno che ruota era rappresentato piuttosto bene dal girotondo, dimensione allegra di una protesta politica pacifica, addirittura infantile ma rivoluzionaria nello spirito, non proprio fortunata, che ebbe per protagonista in Italia il regista Nanni Moretti: erano i cosiddetti girotondi, nati all’inizio degli anni 2000 in varie città in chiave dichiaratamente anti-berlusconiana ma anche di critica ad una sinistra vista allora come troppo morbida sui temi della legalità e della giustizia
D’altra parte il ritorno è il movimento del Tao e la saggezza orientale lo raffigura come un cerchio e tornare in latino significa far girare, lavorare al tornio. La stessa idea e la stessa dinamica contenuti nella parola ‘revolver’ che dà il nome ad un tipo di pistola perché è legata al tamburo, inventato da Colt nel 1835, che gira, si rivolge e in questo modo rende automaticamente disponibili i diversi proiettili. Girano anche gli astri, il cui periodo di rivoluzione è appunto il tempo impiegato da un corpo orbitante, per esempio un pianeta come la Terra, per completare il suo giro intorno ad una stella: nel nostro caso, cioè quello della Terra, il periodo è di poco più di 365 giorni per compiere l’orbita completa intorno al sole.
Dunque il significato che ha fatto la fortuna del termine rivoluzione, così tanto usato ancora oggi e, come abbiamo visto, nei campi più disparati, cioè il significato politico, non è affatto l’unico: è solo quello che ha avuto più fortuna per oltre 200 anni, dalle rivoluzioni industriali, la prima nel ‘700 e la seconda da metà dell’ ‘800, e che paradossalmente, come abbiamo visto spesso accadere nella storia e nella geografia delle parole, non è neanche il più vicino all’etimologia e al significato di origine. L’idea di rivoluzione politica, sospinta dai cambiamenti strutturali nell’organizzazione e nella composizione della società (anche in virtù della rivoluzione demografica e di quella tecnologica), implica il contrario di un tornare, del fare un giro su stessi: è invece avanzare, cambiare, travolgere e stravolgere. E’ un proiettile che ci sospinge verso il futuro, che siano le magnifiche sorti e progressive, il sol dell’avvenire o la società liquida e ibrida della rivoluzione digitale. Ma alla fine sempre di girare si tratta, come avevano intuito i Beatles nell’album intitolato non a caso ‘Revolver’: anche se come cantano ‘il domani è sconosciuto’ può sempre cominciare una rivoluzione. Magari da se stessi.
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