"Il terremoto? Difficile
descriverlo, si vive e ti cambia la vita". Gaetano Santangelo,
88 anni, è uno dei testimoni che ancora oggi può raccontare il
sisma che la notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, colpì la
Valle del Belìce. Originario di Salaparuta, negli anni '60 è
stato l'unico portalettere del paese: "Iniziai a lavorare nel
luglio 1961 prendendo il posto di mio padre - racconta all'ANSA
- a Salaparuta, per via delle salite, era difficile utilizzare
la bicicletta, quindi a piedi ogni giorno percorrevo 13
chilometri".
A 56 anni dal terremoto che devastò i paesi di tre province -
Trapani, Agrigento e Palermo - Gaetano Santangelo racconta oggi
con lucidità quei momenti vissuti quando aveva 32 anni: "quel
giorno era domenica come oggi - dice - la prima scossa delle ore
13 l'avvertii mentre mi trovavo in campagna a fare la legna. Non
pensavo fosse terremoto, solo arrivando a casa ho trovato la
famiglia preoccupata. La seconda scossa nella notte, uscimmo
fuori mentre ancora tutto tremava. C'era la neve e ci rifugiammo
nella casa di campagna. Intorno solo morti e macerie".
Le baracche sono state i luoghi della speranza per i
cittadini del Belìce che non avevano più le case. "Dovevamo
stare poco, ci fu detto - racconta Gaetano Santangelo - ma,
invece, ci abbiamo abitato per 16 anni, crescendo i figli in
ambienti stretti e angusti. Però è nelle baracche che abbiamo
riscoperto la solidarietà dello stare insieme, tra persone
accomunate dallo stesso destino".
Nel nuovo centro di Salaparuta Gaetano Santangelo si è
trasferito con la sua famiglia nel 1982. Strade ampie, assetti
urbani disegnati a Roma e tradotti sul territorio. "Qui la vita
sociale è cambiata - ammette l'anziano - perché la distanza
fisica tra una cosa e l'altra ha posto una trasformazione delle
relazioni. Oggi parlare di ricostruzione a 56 anni dal sisma è
una cosa ingiusta - ammette - è tempo di chiuderla per non
mortificare ancora noi abitanti di questo territorio".
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