E' iniziato davanti alla Corte
d'Assise d'appello di Milano il processo per Alessandro Maja,
58enne interior designer che, nella notte tra il 3 e il 4 maggio
2022, uccise nella loro casa a Samarate (Varese) la figlia
Giulia di 16 anni e la moglie Stefania Pivetta, 56enne, a colpi
di martello mentre stavano dormendo, per poi tentare di
ammazzare anche il figlio maggiore Nicolò, 21 anni,
sopravvissuto.
In primo grado Maja, presente in aula a fianco del legale
Giulio Colombo, è stato condannato all'ergastolo e ad un anno e
mezzo di isolamento diurno. Nicolò, come spiegato stamani ai
giudici (presidente Caputo) dall'avvocato di parte civile
Stefano Bettinelli depositando un certificato medico, è dovuto
tornare in ospedale nei giorni scorsi per un altro intervento
chirurgico programmato. Il giovane, che ha riportato gravi
traumi e un'invalidità all'80%, aveva definito la sentenza di
primo grado, del luglio scorso, "giusta, il minimo" per quanto
commesso da suo padre, e aveva detto di non essere disposto a
"perdonare mai", nonostante creda in un suo pentimento, che però
"non sarà mai abbastanza".
In aula per la famiglia c'è il nonno di Nicolò, Giulio
Pivetta, e a rappresentare l'accusa la procuratrice generale
Francesca Nanni. La difesa punterà sul riconoscimento di un
vizio parziale di mente dell'imputato, anche se una perizia
psichiatrica disposta dalla Corte d'Assise di Busto Arsizio
aveva accertato la piena capacità di intendere e volere
dell'uomo.
Inizialmente gli investigatori avevano ipotizzato come
movente della strage familiare una possibile fine del
matrimonio, pista poi abbandonata per concentrarsi su ipotetici
dissesti economici. Anche in questo caso, però, dalle verifiche
non è emersa alcuna difficoltà finanziaria e, dunque, il movente
è sempre rimasto un'incognita.
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