Una attività illecita "dettata anche da finalità politiche". Vendere segreti Nato alla Russia con la "finalità chiara di favorire uno Stato estraneo all'Alleanza Atlantica" e con la "concreta messa in pericolo degli interessi protetti dalle norme". Sono le pesanti accuse che i giudici della corte d'Assise di Roma hanno messo nero su bianco nelle oltre 130 pagine di motivazioni della sentenza con cui, nel gennaio scorso, hanno condannato a 20 anni di carcere Walter Biot, l'ufficiale della Marina Militare arrestato in flagranza mentre cedeva, in cambio dio 5 mila euro, notizie coperte dal segreto ad un diplomatico della Federazione Russa.
Per questa vicenda il capitano di Fregata è già stato condannato a 29 anni dai giudici di appello del tribunale Militare. Nelle motivazioni i giudici ricostruiscono i vari passaggi dell'indagine condotta dal sostituto procuratore Gianfederica Dito. Per i magistrati, "la condotta dell'imputato è stata lesiva degli interessi dell'organizzazione politica statale nelle sue strutture e anche nei rapporti con enti sovranazionali cui lo Stato aderisce". Biot "nell'acquisizione e trasmissione delle notizie" si è attenuto a "non comuni cautele e accorgimenti per non essere scoperto".
Un modus operandi portato avanti "fino alla consegna della micro Sd al diplomatico russo dietro compenso in denaro" in un parcheggio di un centro commerciale della Capitale. Una condotta che "certamente contribuisce ulteriormente a definire nella specifica vicenda che le informazioni che stava consegnando dovevano avere una certa portata rilevante della segretezza e della riservatezza delle notizie medesime, tanto più se rivalutate alla luce dei più recenti fatti geopolitici connessi alla guerra in Ucraina e alle attuali relazioni della Nato e dei Paesi dell'Alleanza con la Federazione Russa''.
I giudici dell'Assise aggiungono che Biot "godeva della massima fiducia dei vertici dell'Amministrazione che nel corso degli anni gli hanno confermato gli incarichi di responsabilità". Nel corso del procedimento l'imputato "ha scelto di non rendere l'interrogatorio in sede di convalida dell'arresto in flagranza di reato, e di non rendere l'esame in dibattimento, limitandosi a rappresentare, in sede di dichiarazioni spontanee, che non ha avuto accesso ai documenti segreti Nato e ai dispositivi che li contengono e, quindi, di non avere una conoscenza piena delle accuse per poter utilmente difendersi".
E dunque, concludono i giudici, "non ha pertanto offerto alcun contributo di chiarimento o spiegazione alternativa al complessivo e nutrito quadro probatorio di rilevante gravità che lo attinge, neanche circa la condotta che ha determinato l'arresto in flagranza di reato". Per i magistrati l'imputato "ha fatto un uso distorto e contrari ai doversi d'ufficio" delle sue funzioni.
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