Una udienza drammatica che per motivi di opportunità è stata svolta in parte a porte chiuse. Nel processo a carico dei quattro 007 egiziani accusati di avere sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni nel 2016 sono arrivati i primi tasselli sulle sevizie subìte dal giovane ricercatore italiana per mano degli agenti della National Security. Sevizie portate avanti per giorni da "mani esperte" con la vittima tenuta in stato di 'lucidità' fino al tragico epilogo.
Secondo quanto riferito dai medici legali, che il 6 febbraio del 2016 fecero l'autopsia del giovane ricercatore friulano, sul corpo di Giulio sono stati individuati i segni tipici delle torture praticate in Egitto: pugni, calci, bruciature, bastonate sui piedi e ammanettamento di polsi e caviglie. A confermarlo, davanti ai giudici della prima corte d'Assise, Vittorio Fineschi, consulente della Procura di Roma nel corso della sua audizione nel processo a carico di quattro 007 egiziani. Il medico legale ha spiegato che sul corpo di Regeni sono state "riscontrate quasi tutte le torture descritte nella letteratura scientifica egiziana". In particolare l'Egitto "negli anni ha pubblicato due lavori scientifici sulla tortura: uno su 140 casi di torture su persone, non uccise, prima arrestate e poi torturate nelle stazioni di polizia o carcere. Un secondo studio su 367 casi di torture avvenuti nel 2009-2010 in Egitto in cui vengono riportate moltissime modalità di tortura" ritrovate "anche sul corpo di Giulio come le bastonate sui piedi fino alla frattura di tutte le ossa".
Parlando dell'autopsia svolta in Egitto, il consulente ha affermato che è stata una attività "al di sotto dello standard minimo. Gli egiziani hanno attribuito la morte a un ematoma che ha compresso il cervello così tanto da portarlo alla morte - ha spiegato Fineschi -. Causa non compatibile con quello che abbiamo riscontrato noi. In Egitto sono stati compiuti approfondimenti incompleti e poco approfonditi".
Nel corso dell'udienza i genitori di Giulio, Paola e Claudio, hanno deciso di uscire dall'aula. Per il tossicologo forense, Marcello Chiarotti, la morte del giovane è "stimata tra le 22 del 31 gennaio e le 22 del 2 febbraio del 2016" giorni in cui l'Italia, come detto dall'allora ambasciatore al Cairo Maurizio Massari nella scorsa udienza, aveva già chiesto all'autorità egiziana notizie sulla sorte del ricercatore. "Il nostro lavoro ha portato ad una stima della morte a 124 ore prima del prelievo quindi risalirebbe al periodo compreso tra le 22 del 31 gennaio e le 22 del 2 febbraio. Tutti gli accertamenti tossicologici - ha aggiunto - hanno dato esito negativo sia sull'uso da parte di Giulio di droghe né di farmaci o sostanze tossiche e velenose".
Al termine delle oltre 8 ore di udienza il legale della famiglia non ha negato la durezza degli elementi emersi. "Abbiamo visto tutto il male del mondo su Giulio e ne abbiamo ascoltato la minuziosa descrizione - ha detto Alessandra Ballerini -. Giulio, come sappiamo, e ne abbiamo avuto la prova ancora oggi, è stato torturato per giorni e poi gli è stata procurata la morte. Era un'udienza necessaria perché il corpo di Giulio parla e parla anche nel bene perché non gli è stata riscontrata nessuna sostanza tossica".
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