MILANO, 6 APRILE 2024 - Quel che contava era la velocità di produzione e non l'incolumità del lavoratore negli opifici abusivi dove i ritmi in cui si realizzavano borse e cinture vendute come accessori di lusso del Made in Italy, erano "massacranti" e gli immigrati in nero e sfruttati erano, eccetto una ragazza italiana, di origini cinesi o pakistane. E proprio per consentire di velocizzare al massimo la realizzazione di ciascun pezzo alla macchina incollatrice era "stato rimosso l'inserto di plexiglass" necessario per "impedire che il lavoratore accidentalmente" rimanesse impigliato con le mani o con gli indumenti. La fustellatrice a bandiera era priva del "dispositivo di arresto di emergenza" mentre a quella tingi bordo era stato tolto "il bicchiere di sicurezza" e a quella da cucire il "carter" in genere installato per proteggere le dita.
E' uno spaccato inquietante, dove l'essere umano e la sua salute hanno poca importanza, quello che viene a galla dagli accertamenti dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro, coordinati dai pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, sugli laboratori illegali che producevano in subappalto per la Giorgio Armani Operations Spa, società del colosso della moda e che da ieri, al fine di tutelare l'attività di impresa, è in amministrazione giudiziaria.
L'inchiesta che ha portato all'iscrizione del registro degli indagati solo i titolari dei quattro opifici clandestini interessati, ha ricostruito la 'filiera' a partire dalla G.A. Operations - di nessun dipendente né tanto meno i vertici sono stati sfiorati della indagini - la quale aveva affidato ufficialmente la produzione dei capi a Manifatture Lombarde srl e MinoRonzoni srl, aziende nel Milanese e nella Bergamasca, le quali non avevano la benché minima autorizzazione per esternalizzare il lavoro, come invece è avvenuto. Le due società, una delle quali guidata da Alessandro Budel l'ex calciatore che ha indossato anche le maglie del Brescia e del Cagliari, nonché commentatore sportivo per Dazn, e i loro amministratori attualmente non risultano indagati. Risulta invece la mancanza di una organizzazione "idonea" a evadere le commesse e il conseguente ricorso a "sub fornitori" clandestini dove, è il quadro tratteggiato dai pm e dai giudici della sezione Misure di Prevenzione, lo sfruttamento e la mancanza di sicurezza ed igiene e le condizioni 'degradanti' in cui gli operai lavoravano e al contempo vivevano - mangiavano e vivevano negli stessi locali e pure a contatto con sostanze chimiche ed infiammabili mal custodite - viene considerato 'un campanello d'allarme sintomatico (...) di un sistema di produzione generalizzato e consolidato' sul quale è stato acceso un faro: oltre a questo e al caso della Alviero Martini spa (è stata venduta venti anni fa dal suo fondatore) ci sono verifiche su altre aziende.
In merito GA Operations, che ritiene di avere "da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura", il Tribunale spiega che avrebbe "colposamente alimentato" tale 'meccanismo' in quanto non avrebbe 'verificato la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici". Da qui la decisione di affiancare un commissario agli organi amministrativi "a favore a a tutela dell'attività" della maison tra le più note a livello internazionale.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA