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Fine vita, la Consulta allarga i casi e dà la parola ai giudici

Fine vita, la Consulta allarga i casi e dà la parola ai giudici

'Restano i paletti della sentenza del 2019, il Parlamento ne assicuri i principi'

ROMA, 18 luglio 2024, 19:14

di Lorenzo Attianese

ANSACheck
Consulta, sul fine vita confermata sentenza del 2019 - RIPRODUZIONE RISERVATA

Consulta, sul fine vita confermata sentenza del 2019 - RIPRODUZIONE RISERVATA

Aumentano i casi in cui una persona potrà chiedere di accedere al suicidio medicalmente assistito mentre le singole vicende giudiziarie sul tema saranno esaminate volta per volta dai tribunali. La sentenza della Consulta allarga le maglie sul fine vita con una rivoluzione a metà.

Vengono ribaditi i principi della "sentenza Dj Fabo" del 2019 ma i paletti fissati da quel verdetto sono stati spostati: nelle richieste dei pazienti non si terrà soltanto in considerazione il fatto che siano legati a delle macchine per la loro sopravvivenza. La nozione di sostegno vitale includerà anche alcune pratiche svolte dai caregiver o dai familiari che assistono la persona malata. E sul tema c'è anche una sorta di monito della Corte, che esprime "il forte auspicio che il legislatore e il servizio sanitario nazionale assicurino concreta e puntuale attuazione ai principi fissati dalla propria precedente sentenza".

 

Si apre un nuovo capitolo dopo il "caso dj Fabo", il giovane tetraplegico morto su sua richiesta in Svizzera con l'aiuto dell'attivista dell'associazione Coscioni, Marco Cappato, e su cui la Consulta si espresse nel 2019 basandosi sul riconoscimento del diritto fondamentale del paziente a rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo. Quel verdetto stabiliva - e restano valide anche attualmente - quattro condizioni richieste per permettere la pratica del suicidio medicalmente assistito: la richiesta deve essere di una persona che sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale.

Stavolta il pronunciamento, che fa un passo in avanti, riguarda l'aiuto fornito un anno e mezzo fa da Cappato e altri a un toscano 44enne, affetto da sclerosi multipla e accompagnato in Svizzera per praticare la stesso proposito di dj Fabo. In questo caso il paziente non era legato a un trattamento di sostegno vitale come farmaci o macchinari sanitari, ma dipendeva totalmente dall'assistenza di altre persone per sopravvivere. E uno dei nodi della nuova pronuncia dei giudici della Corte è stato proprio il requisito del "trattamento di sostegno vitale", che finora si è prestato ad interpretazioni controverse e il cui significato - per la Consulta oggi - deve però essere correttamente tradotto. Questo elemento deve essere interpretato dal servizio sanitario nazionale e dai giudici comuni "in conformità alla ratio della sentenza del 2019", chiarisce oggi la sentenza, aggiungendo che ci sono più casistiche di cui tenere conto, includendo "anche procedure - quali, ad esempio, l'evacuazione manuale, l'inserimento di cateteri o l'aspirazione del muco dalle vie bronchiali - normalmente compiute da personale sanitario, ma che possono essere apprese anche da familiari o 'caregivers' che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo". Sarà poi il giudice nella sua autonomia a valutare, sulla base di questi principi, se una persona è incriminabile in merito alla pratica del suicidio assistito.

Non solo. La Corte ha inoltre precisato che "non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti". Sono diverse e ambivalenti le reazioni alla nuova sentenza. "Ci sono aperture di fronte all'inerzia della politica", sostiene Marco Cappato, parlando di "una sconfitta piena per le richieste del governo". E se dalla casistica rimangono fuori i malati oncologici "le iniziative di assistenza e disobbedienza civile proseguiranno". Sono attualmente sei i processi in corso che vedono impegnata l'associazione. Sul fronte opposto c'è 'Pro Vita & Famiglia' che giudica "gravissima l'interpretazione estensiva della Corte sulla definizione di trattamenti di sostegno vitale".

 

 

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