Ha respinto le accuse di aver
raccolto dati in modo illecito, di aver installato trojan o di
aver effettuato intercettazioni abusive. Ha chiarito che lui è
"un analista che fa ricerca su dati pubblici, già presenti sul
web" e che ha svolto i compiti che gli venivano affidati, usando
software legali. Non conosceva tutte le attività che veniva
svolte in Equalize, aveva capito anche che probabilmente c'era
qualcosa di diverso, "di più grosso", ma non ne sapeva nulla. Ha
ritenuto di "essere dalla parte buona".
E' questo, in sintesi, il contenuto dell'interrogatorio di
ieri di Mattia Coffetti, tecnico informatico di 36 anni che, per
l'accusa nell'inchiesta milanese sulle presunte cyber-spie,
avrebbe fatto parte dell'associazione per delinquere capeggiata
dall'ex super poliziotto Carmine Gallo e dall'hacker Nunzio
Samuele Calamucci, entrambi ai domiciliari dal 25 ottobre.
Coffetti, come altri in questi giorni, è stato sentito dal pm
Francesco De Tommasi in qualità di indagato, assistito
dall'avvocato Giulio Rota. Esperto di cyber sicurezza e "difesa
per le aziende" e "ricercatore Osint" sempre con "attività
etiche, mai illecite", ha anche spiegato, da quanto si è saputo,
che lui faceva i report che gli venivano richiesti, "su dati
pubblici", ma poi spesso non li vedeva utilizzati. Aveva fatto
affidamento - avrebbe sostenuto - "sulla presenza in azienda di
persone affidabili": un personaggio vicino alla politica come
Enrico Pazzali, titolare di Equalize, e un ex appartenente alle
forze dell'ordine, come l'ex super poliziotto Gallo. Tuttavia,
non era molto contento dei lavori che gli venivano
commissionati, come collaboratore a partita Iva. Per lui non
sarebbero stati molto "stimolanti".
Andava "due giorni a settimana" negli uffici Equalize, ma non
aveva "contezza" - ha detto ancora - di ciò che facevano negli
altri uffici, di accessi in banche dati riservate o di sospetti
legami del gruppo di Equalize, perché lui non aveva contatti con
altri.
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