Da un lato le analisi sul telefono di un giovane testimone per cercare tracce della cancellazione di un video, di cui ha parlato il ragazzo e che, a suo dire, gli sarebbe stata chiesta dai carabinieri. Dall'altro, un vertice tra investigatori ed inquirenti per fare il punto sulle indagini, sulla base dei video acquisiti che, secondo la famiglia di Ramy Elgaml e i legali dell'amico Fares Bouzidi, mostrano uno speronamento volontario.
Sono i nuovi passaggi nell'inchiesta sulla morte, il 24 novembre, del 19enne che era a bordo di uno scooter guidato dall'amico e inseguito per 8 chilometri, fino all'angolo tra via Ripamonti e via Quaranta, da tre pattuglie dei carabinieri. Il militare che era alla guida della macchina che tallonava la moto nelle fasi finali è indagato per omicidio stradale, così come Bouzidi. Altri due militari sono accusati di reati che vanno dalla frode processuale e depistaggio al favoreggiamento, ma pure le posizioni degli altri tre carabinieri sono al vaglio nell'inchiesta coordinata dal procuratore Marcello Viola, dall'aggiunta Tiziana Siciliano e dai pm Marco Cirigliano e Giancarla Serafini e condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri.
L'elenco degli indagati potrebbe allungarsi, così come si profila l'ipotesi di falso per l'annotazione, che non segnalava nemmeno un urto tra auto e scooter, nel verbale di arresto a carico di Bouzidi per resistenza. Le valutazioni principali, però, vengono fatte sulla ricostruzione dello scontro tra auto e moto e prende corpo l'ipotesi dell'omicidio volontario con dolo eventuale, ossia con l'accettazione del rischio che l'evento morte si verificasse, proprio alla luce delle immagini acquisite, che riportano anche i dialoghi via radio tra i carabinieri e in cui si farebbe riferimento al far "cadere" i ragazzi.
Intanto, dopo le rivolte di fine novembre nel quartiere Corvetto spente, in sostanza, dalle parole del padre di Ramy che ha chiesto "la verità" esprimendo fiducia nel lavoro dei magistrati e dei carabinieri che indagano, ieri c'è stato un corteo promosso dal collettivo Rebelot "per ricordare Ramy e per chiedere giustizia". Hanno preso parte anche la fidanzata e uno dei fratelli del 19enne: "Grazie per essere venuti tutti per mio fratello - ha detto - Voglio solo che sia una cosa tranquilla, senza casini e con tutto il rispetto, perché col casino non si risolve nulla".
Per i manifestanti "non erano necessari 8 chilometri di inseguimento, bastava prendere una targa, già sapevamo che quella moto è stata appositamente fatta schiantare". E un'altra manifestazione è stata annunciata per sabato dal "coordinamento antirazzista".
Un altro corteo per chiedere "giustizia per Ramy e per tutte le morti di stato" è stato organizzato a Torino dagli studenti del Collettivo universitario autonomo. Qui si sono registrati momenti di tensione, con alcuni manifestanti che hanno lanciato bombe carta, petardi e altri oggetti prima contro un commissariato di polizia e poi quando hanno tentato di raggiungere la caserma del carabinieri 'Bergia', nel centro della città. Per respingerli i carabinieri hanno usato i manganelli, e in piazza Carlo Emanuele II sono stati usati i lacrimogeni per disperdere gli antagonisti.
Intanto, il comandante dei carabinieri di Milano, Pierluigi Solazzo, ha espresso "tutto il cordoglio dell'Arma per quanto è successo, per la malaugurata scomparsa di Ramy", evidenziando che il padre ha mostrato "grande senso di responsabilità e grande senso civico". Il generale ha sottolineato, poi, che il video dell'inseguimento ripreso da una dash cam di una delle macchine è stato messo a disposizione dagli stessi militari e ciò "dimostra tutta la volontà di agire in trasparenza".
Il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri, ha parlato del suo "sgomento per la morte di Ramy" e della necessità di "difendere le forze di polizia perché l'inseguimento era da protocollo, giusto e doveroso". Per il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, "le immagini danno un segnale brutto, non c'è dubbio, brutto. Però - ha aggiunto - attendiamo che la giustizia faccia il suo corso". E l'ex capo della polizia Franco Gabrielli, ora consulente alla Sicurezza di Sala, ha fatto notare che "quella non è la modalità corretta con cui si conduce un inseguimento perché c'è pur sempre una targa, un veicolo", ma non serve nemmeno "l'eccessiva criminalizzazione degli operatori delle forze dell'ordine".
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