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Saviano al Salone del libro, ecco 'In mare non esistono taxi'

Saviano al Salone del libro, ecco 'In mare non esistono taxi'

Esclusiva ANSA. Lo scrittore racconta l'ultimo libro sui migranti

TORINO, 10 maggio 2019, 17:26

Mauretta Capuano

ANSACheck

LIBRO SAVIANO - In mare non esistono taxi - Mar Mediterraneo, 2014 Massimo Sestini - RIPRODUZIONE RISERVATA

LIBRO SAVIANO - In mare non esistono taxi - Mar Mediterraneo, 2014 Massimo Sestini - RIPRODUZIONE RISERVATA
LIBRO SAVIANO - In mare non esistono taxi - Mar Mediterraneo, 2014 Massimo Sestini - RIPRODUZIONE RISERVATA

 "Le fotografie sono testimonianza, portano la prova che quello che diciamo da mesi su ciò che accade in Libia e nel Mediterraneo è vero. Ma dire la verità non basta, 'verità' è una parola abusata, che provoca ormai fastidio non solo a sentirla, ma addirittura a pronunciarla. Ci hanno fatto credere che la verità sia istantanea, che la si possa apprendere attraverso rapidi tutorial ('tutta la verità su…'), ma non è così. La verità ha bisogno di tempo, un tempo che oggi spesso crediamo di non avere". Lo racconta all'ANSA Roberto Saviano parlando di 'In mare non esistono taxi', il libro in cui per la prima volta si confronta con la fotografia, in uscita oggi per Contrasto, con cui l'11 maggio sarà al Salone del Libro di Torino alle 16 in Sala Oro con il fotografo Carlos Spottorno, Claudia Lodesani, presidente di Medici Senza Frontiere e Lamin Sidi Mamman, mediatore Interculturale MSF. Mentre la mattina è atteso alle 12 allo stand Contrasto all'Oval per un firmacopie.


    "La fotografia diventa testimonianza quando incontra la volontà di fermarsi, di non aver paura a restare indietro, di rallentare rispetto a chi passa oltre, al prossimo scatto, al prossimo commento. La fotografia può incidere sul presente solo se ci si ferma a osservarla; sembra una banalità, ma non lo è.


    La foto di Olmo Calvo della piccola imbarcazione carica di migranti fatta a pelo d'acqua non può essere compresa in pochi secondi. Bisogna fermarsi a immaginare cosa si prova a stare uno sull'altro, in mare aperto, tenuti a galla da poche tavole di legno malmesse. Lì il mare fa paura, il silenzio fa paura. Fa paura il minimo alito di vento e un'onda innocua può diventare letale" dice Saviano che nel libro intervista 4 grandi fotografi Paolo Pellegrin, Giulio Piscitelli, Olmo Calvo e Carlos Spottorno e parla con i volti di chi salva. "Lavorare a questo libro ha cambiato il mio sguardo sulle cose. Ci sono momenti nella storia in cui le parole da sole non bastano, in cui serve portare prova che ciò di cui si sta parlando accade davvero. E nel tentativo di portare prova di quanto accade, ho conosciuto persone che hanno aumentato le loro diottrie (e le mie) accettando di osservare il dolore dell'essere umano senza restarne atterriti. Il dolore di chi lascia la propria terra per trovare un'esistenza dignitosa altrove superando prigionia, vessazioni, schiavitù e torture è enorme e diventa per tutti noi motore per provare a cambiare le cose. Non c'è spazio per la retorica e i fotografi che sono stati dove si soffre e si muore, gli operatori delle ONG che utilizzano le proprie ferie per salvare vite, sono testimonianza di tutto questo. Ho insistito per avere i profili di chi salva per mostrare che sono persone come noi, come tutti, che hanno deciso di diventare portatori di conoscenza, testimoni oculari di una tragedia che i più ignorano o preferiscono ignorare perché troppo dolorosa" spiega l'autore di Gomorra. E quali sono le foto che lo hanno più colpito e che considera più rappresentative? "Le foto dei bambini. La foto del piccolo Alan Kurdi, il bimbo siriano trovato senza vita sulla spiaggia di Bodrum in Turchia, il 2 settembre 2015. Mi ha colpito innanzitutto perché è la foto di un bimbo, poi per le conseguenze che ha avuto in Europa l'apertura della Germania ai profughi siriani. Se paragono questa immagine alla foto scattata da Kevin Carter in Sudan nel 1993, il bambino con alle spalle l'avvoltoio e a quella di Phan Thi Kim Phuc scattata in Vietnam nel 1972 mentre, nuda, fugge dopo il bombardamento al napalm del suo villaggio, penso a come le immagini, se non possono fermare l'orrore, hanno il merito di testimoniarlo. E noi, che orgogliosamente ci definiamo esseri umani, dobbiamo conoscere quelle testimonianze per non essere artefici, complici o silenti osservatori dei crimini di oggi".


    La fotografia come testimonianza, nel viaggio compiuto in questo libro è un invito alla consapevolezza? "Si. Ed è anche un invito - spiega Saviano - a prendersi del tempo. La fotografia diventa testimonianza solo quando abita il tempo. Viviamo nel momento di maggiore diffusione dell'immagine che, paradossalmente, è anche il momento in cui l'immagine ha perso la sua capacità di incidere. E non perché ce ne siano troppe, ma perché noi ormai le fruiamo con troppa velocità.


    Pattiniamo sulle immagini come pattiniamo sulle notizie perdendoci il racconto reale del nostro tempo".


    Il libro è dedicato a Leogrande "non solo perché gli ho voluto un gran bene, non solo perché il confronto con lui mi manca da morire, ma perché era un atto dovuto: Alessandro ha dedicato tutta la sua vita allo studio e al racconto del dramma di chi arriva in Italia per diventare schiavo. Viviamo tempi complessi in cui tutto è politica e anche la cultura lo è. Probabilmente, ma è facile parlare col senno di poi, se il Salone si fosse dotato di un codice etico, che tutti gli editori avrebbero dovuto sottoscrivere contestualmente alla firma del contratto per lo spazio espositivo, forse le cose sarebbero andate diversamente".
   

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