Un destino scritto nel nome, quello di Franco Zeffirelli, il Maestro di tanto raffinato teatro. Lui stesso raccontava che quando sua madre dovette iscriverlo all'anagrafe, come figlio di N.N., suggerì il cognome Zeffiretti, da un'aria di Mozart che la donna tanto amava. Solo un banale errore dell'impiegato lo trasformò in Zeffirelli. Ventitré anni dopo, diploma all'Accademia di Belle Arti e qualche comparsata come attore nel curriculum, l'incontro con Luchino Visconti ("mi ha insegnato e forgiato al mestiere"), al quale lo lega un rapporto personale e che lo chiama all'Eliseo di Roma come scenografo di As you like it di Shakespeare - a fianco di Salvador Dalì (1948) - e poi ancora per Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams, Tre sorelle di Anton Cechov e per il leggendario Troilo e Cressida al Giardino di Boboli con un cast stellare: Paolo Stoppa, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Franco Interlenghi, Rina Morelli, Giorgio Albertazzi appena esordiente. È qui che nasce la 'cifra' che segna il teatro di tutta la vita di Franco Zeffirelli.
Per sempre sarà il Maestro artigiano erede di una tradizione sparita, l'artista capace di inventare raffinati mondi scenici partendo da pennelli e pittura, ago e filo, con una maniacale cura del particolare nel disegnare i personaggi, avventurandosi con disinvoltura e leggerezza da Cechov a Verdi e Pirandello. "Il Teatro - spiegava - ha sempre nutrito le mie speranze di cinema e fornito soluzioni". Negli anni Cinquanta incontra la lirica, che, al pari del cinema, lo trasformerà in un divo internazionale. Chiamato da Corrado Pavolini firma scene e costumi de l'Italiana in Algeri e regala al pubblico paludato de La Scala mura che si sollevano, svelamenti di palazzi del sultano e padiglioni moreschi. Seguono La Cenerentola e Il Turco in Italia di Rossini con Maria Callas, che lo vuole oltreoceano per un'innovativa Traviata a Dallas. Per tutta la vita sarà la sua Musa prediletta. Per lei dirigerà ancora Tosca e Norma, arrivando al Covent Garden a Londra e all'Opera di Parigi, con una sua foto fino all'ultimo sul pianoforte di casa.
In un momento in cui il mondo era molto più grande di oggi, Zeffirelli (che aveva imparato l'inglese a lezione durante il fascismo) è anche il primo regista italiano all'Old Vic di Londra, dove insegna Shakespeare agli inglesi dirigendo Romeo e Giulietta nel 1960 con Judi Dench poco più che ragazzina e poi Amleto (che 'regala' anche a Giorgio Albertazzi) e Molto rumore per nulla. Sul Bardo torna ancora e ancora, in teatro, nell'opera, al cinema, tanto da ricevere la nomina a Cavaliere dell'Ordine dell'Impero Britannico dalla Regina. Ma agli anglosassoni racconta anche Eduardo De Filippo, con Laurence Olivier in Sabato, domenica e lunedì e Joan Plowright in Filumena Marturano.
Viaggiando all'incontrario porta in Italia una ventata internazionale con testi nuovi come Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee, con Umberto Orsini protagonista. E poi Arthur Miller con Monica Vitti e Giorgio Albertazzi in Dopo la caduta o la Maria Stuarda di Schiller con la sfida in scena tra due primattrici come Rossella Falk e Valentina Cortese. Sei volte torna sull'Aida, otto sul Don Giovanni. "Con lui - diceva - sciogli un mistero e ne annodi altri mille". Ogni volta costruendo trionfi di scenografie, costumi e ambientazioni. Le sue Bohème e Traviata viaggiano dall'Arena di Verona a New York, fin nel cuore del deserto omanita alla Royal Opera House di Muscat. Un album lunghissimo di successi e anche di feroci critiche per quel suo gusto estetico mai spento, che oggi sfila nelle immagini al fianco di tutti grandi, da Maria Callas a Elizabeth Taylor, Placido Domingo, Herbert von Karajan, Coco Chanel, Nureyev, la Magnani e Olivia Hussey, Maggie Smith e Cher. A raccontare la storia del ragazzo che disegnava bozzetti e che diventò un divo.
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