Se fosse vero l'antico proverbio giapponese per il quale si vive solo due volte, la prima quando si nasce e poi quando si guarda la morte
in faccia, Jean-Paul Belmondo (classe 1933) avrebbe gia'
superato questo traguardo. Il divo francese, mentre festeggia
gli 80 anni il 9 aprile, puo' vantarsi di aver vissuto gia'
molto di piu': agile come un gatto nella vita e sul set, ha
nella sua faretra almeno sette vite diverse da vivere e solo una
parte e' gia' stata consumata.
Nel 2001 e' stato colpito da un ictus e per otto anni e'
scomparso da ogni apparizione pubblica. Ma con incrollabile
forza di volonta' si e' ripreso, dando il via a una nuova fase
della vita, idealmente sancita nel 2011 dalla consegna della
Palma d'oro alla carriera a Cannes.
Nato a Neuilly sur Seine, alle porte di Parigi, ha sangue
italiano nelle vene giacche' il padre era uno scultore di buona
fama, Paolo Raimondo. Dopo un esordio a teatro, Belmondo si fa
apprezzare come 'jeune premier' in 'Peccatori in Blue Jeans' di
Marc Allegret (1958), ma da' anche fiducia al giovanissimo
Claude Chabrol in 'A doppia mandata' (1959).
Comincia da li' il suo percorso parallelo con Alain Delon che
sta folgorando il pubblico con 'Delitto in pieno sole'. Ma
'Bebel' (cosi' si fa chiamare per sottolineare il suo stile
stravagante e canzonatorio) e' rapido a cambiare registro
affidandosi a Jean-Luc Godard che lo vuole protagonista di 'Fino
all'ultimo respiro' (1960) e poi di 'Pierrot le fou' (1965).
Lavorare con il maestro indiscusso della Nouvelle Vague
rappresenta per Belmondo una sfida: deve tenere insieme i canoni
della recitazione classica e il loro stravolgimento. E ci
riesce, contribuendo da solo all'inatteso successo commerciale
dei due film. Rispetto a Delon, di due anni piu' giovane, Bebel
ha il vantaggio dell'innata simpatia comunicativa, un bel naso
schiacciato da boxeur fallito, una innata predisposizione a
stupire, tanto il suo 'gemello' gioca invece la carta del bel
tenebroso, divorato da dilemmi interiori. Hanno esordito (o
quasi) con lo stesso maestro, Allegret, hanno flirtato entrambi
con la nouvelle vague, hanno successo con le donne e con gli
spettatori, si dividono il campo come Coppi e Bartali. In
qualche modo li accomuna anche l'Italia, giacche' entrambi
vengono adottati - molto giovani - dal nostro cinema.
Ed ecco allora Belmondo vestire i panni di Michele ne 'La
ciociara' di Vittorio De Sica e poi di Amerigo ne 'La viaccia'
di Mauro Bolognini (1961). Ma e' sul mercato francese e, in
particolare, nel cinema poliziesco (il polar) che combatte la
grande battaglia per la popolarita' con Delon. Belmondo recita
con Claude Sautet in 'Asfalto che scotta' (1960), 'Quello che
spara per primo' di Jean Becker (1961), 'Quando torna l'inverno'
di Henri Verneuil (1962), fino a 'Lo spione' del maestro Jean
Pierre Melville, lo stesso che portera' a vette assolute Delon
in 'Frank Costello'. Il sodalizio con Melville dura tre film e
da' a Belmondo tutti i 'quarti di nobilta'' di cui ha bisogno
presso la critica. Ma il giovane mattatore vuole il gran
successo popolare. Per questo, in una sorta di terza vita
artistica, si affida a Philippe de Broca e interpreta 'L'uomo di
Rio' (1964), cocktail di commedia gialla, film d'avventura,
parodia di generi in voga: Bebel recita a velocita' supersonica,
compie peripezie spericolate da stuntman (fino in tarda eta' non
vorra' mai una controfigura) e conquista i francesi. Conquista
anche il riottoso Delon che si rassegna all'idea di far coppia
col suo rivale. Avverra' nel 1970 con 'Borsalino', successo
planetario e inizio di una quarta fase nella carriera di
Belmondo che intanto ha lavorato con tutti i registi piu'
apprezzati e popolari, da Claude Lelouch a Francois Truffaut
('La mia droga si chiama Julie') e ha coniato una coppia di
sicura simpatia con la perfetta 'spalla' Lino Ventura .
Belmondo si e' sposato due volte (con la ballerina Elodie che
gli ha dato tre figli e l'attuale compagna Natty), legandosi
anche a lungo con Laura Antonelli. Sul set raccoglie l'eredita'
di Gerard Philippe interpretando eroi acrobatici e romantici, di
Jean Gabin incarnando lo spirito francese piu' nazionalista e
orgoglioso, di Yves Montand regalandosi ampie licenze tra cinema
e teatro. Nel 1974 sente il richiamo del cinema d'autore e
accetta la parte del truffatore Stavisky nel raffinato film
omonimo di Alain Resnais. Non rinuncia ai ruoli che hanno fatto
la sua carriera e ai registi-complici di sempre (Gerard Oury,
Philippe Labro, Henri Verneuil, Jacques Deray, Georges Lautner),
ma cerca altro. In teatro ripassa tutti i grandi classici, veste
perfino i panni del mattatore Kean e aspira a un finale di
carriera da 'padre nobile', guadagnandosi intanto il Premio
Cesar come miglior attore nel 1989 per ''Una vita non basta'' di
Claude Lelouch.
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