Tra le tante, dolorose, immagini che raccontano il calvario giudiziario di Enzo Tortora, le manette, l'aula del tribunale, il carcere, ce sono alcune che sono, invece, il ritratto della dolcezza e della speranza. Quelle che, dopo la scarcerazione e soprattutto l'assoluzione dalle accuse che gli hanno distrutto la vita, lo vedono sorridente e abbracciato stretto alle sue due figlie. "Le mie bambine", come le chiamava nelle lettere inviate dalla cella alla compagna Francesca Scopelliti e alla primogenita Silvia, giornalista e conduttrice televisiva che oggi si è spenta a 59 anni, gli stessi che aveva il padre quando nel 1988 morì.
Il padre è stato una figura chiave per Silvia Tortora, non solo perché lei ne seguì in qualche modo le orme, dopo aver prima preso le distanze, poi apprezzato il suo modo di fare televisione, ma soprattutto perché combatté fino alla fine, per far sì che il dramma del genitore non fosse avvenuto invano. Da lì l'amarezza, che in più occasioni aveva palesato, per lo stato della giustizia in Italia. "Dal mio punto di vista non è cambiato nulla: sono 30 anni di amarezza e di disgusto - disse Silvia in occasione del 30/o anniversario della morte del padre -. Mi aspettavo una riforma del sistema giudiziario, invece non è accaduto. I processi continuano all'infinito. Anzi in 30 anni c'è stata una esplosione numerica". Raccontò la storia del padre scrivendo il soggetto cinematografico del film Un uomo perbene di Maurizio Zaccaro, che le valse nel 1999 il Nastro d'argento al Festival di Taormina. Non gradì, invece, la fiction Rai del 2012 Il caso Tortora, parlando di un'operazione che banalizzava la sua vita e non metteva in chiara luce le responsabilità dei magistrati.
Il rapporto con il genitore emerge soprattutto dalle lettere scritte dal carcere e pubblicate nel libro "Cara Silvia - Lettere per non dimenticare", curato dalla figlia stessa e edito da Marsilio nel 2002. "Sii te stessa, e non mollare. Papà non l'ha fatto mai", le diceva, trasmettendole evidentemente quella tenacia che ha sempre conservato. Colpisce in quelle missive, oltre alla sofferenza di uomo preoccupato per il suo destino, l'angoscia per la salute delle sue bambine private da un giorno all'altro della presenza del padre. Ecco perché le invita ad essere felici, a fare buone letture, a distrarsi, partire per un viaggio, andare su una bella spiaggia. Silvia Tortora, nata dal secondo matrimonio del conduttore di Portobello con Miranda Fantacci, ha combattuto, insieme alla sorella minore Gaia, vicedirettrice del TgLa7, per tutta la sua esistenza, vissuta professionalmente per grande parte in Rai, proprio come il padre. A lanciarla fu Giovanni Minoli, con il quale iniziò a collaborare già dal 1985 a Mixer. Un sodalizio destinato a durare nel tempo con la partecipazione venti anni più tardi a La storia siamo noi, nel quale ricostruì avvenimenti centrali della storia italiana, ma soprattutto realizzò ritratti di grandi personaggi della politica, dello spettacolo e dello sport. Un po' come fece anche nel programma Big, che condusse nel 2009 insieme ad Annalisa Bruchi. In carriera anche una parentesi per la carta stampata con la collaborazione con il settimanale Epoca dal 1988 al 1997.
Lascia il marito, l'attore Philippe Leroy, sposato nel 1990 e da cui ha avuto due figli, Philippe e Michelle. Con lui, che oggi ha 91 anni, viveva in campagna, mantenendo il riserbo sulla vita privata. Schietta, ma anche schiva, era soprattutto una giornalista curiosa e rigorosa. Così la ricordano sui social tanti amici, colleghi e tutti quelli che l'hanno apprezzata per il suo lavoro e le sue battaglie.
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